MAFIA. ARRESTI DI MARSALA E I “PIZZINI” MESSINA DENARO A PROVENZANO E LO PICCOLO


Blitz dei carabinieri e agenti di polizia a Marsala contro una famiglia mafiosa: sei gli arrestati con l’accusa di estorsione e detenzione di armi da fuoco e proprio le armi, fra cui un fucile di precisione, secondo gli inquirenti, sarebbero servite a eliminare il pm della Dda di Palermo Roberto Piscitello, ora capo di gabinetto vicario del ministero della Giustizia, da anni impegnato nelle indagini sulla mafia trapanese. In manette sono finiti: Vito Vincenzo Rallo, 49 anni, ritenuto il reggente della cosca; Giuseppe Francesco Raia, 42 anni, l’uomo che gestiva il racket delle estorsioni per conto dei boss; Maurizio Bilardello, 40 anni, fratello naturale di Raia; Giuseppe Gaspare De Vita, 37 anni, podologo; Francesco Messina, 44 anni, imprenditore edile e Dario Cascio, 28 anni. Hanno ripreso le redini della cosca di Marsala appena usciti di prigione. In poco tempo sono tornati a fare le estorsioni e si sono riforniti delle armi. Una riorganizzazione rapida quella dei boss marsalesi,  scoperta dagli investigatori. Ai vertici della famiglia ci sono nomi noti agli investigatori: come Vito Vincenzo Rallo, fratello del capomafia Antonino. Scarcerato a luglio del 2007, Vincenzo Rallo e’ immediatamente tornato a pianificare e gestire il racket del pizzo e amministrare la cassa dell’organizzazione. Al suo fianco  Francesco Giuseppe Raia, figlio del boss Gaspare, che sconta, al carcere duro, una condanna all’ergastolo. Uscito di prigione nel giugno del 2007 si è subito messo a disposizione di Rallo per  la riscossione delle estorsioni. Il piano di riorganizzazione della cosca aveva avuto la “benedizione” del superlatitante trapanese Matteo Messina Denaro che, dopo le operazioni di polizia che avevano messo in ginocchio la  “famiglia”, aveva espresso le sue preoccupazioni sul futuro di Cosa nostra marsalese in diversi “pizzini” indirizzati al padrino di Corleone Bernardo Provenzano, sequestrati a Montagna dei cavalli, a Corleone, in occasione della cattura del boss latitante, e quelli trovati a Giardinello, quando in manette sono finiti Salvatore e Sandro Lo Piccolo. Nelle lettere ritrovate, Messina Denaro scriveva di non potere più esaudire le richieste di Provenzano relative alla zona di Marsala perché lì erano stati arrestati “i rimpiazzi e pure i rimpiazzi dei rimpiazzi”: una frase usata per indicare che nella zona non c’erano più uomini d’onore “fedeli” da utilizzare. Su sito online di livesicilia si legge: Matteo Messina Denaro, l’1 ottobre 2003, scrive a Salvatore Lo Piccolo di aver perso i contatti con Marsala. Poi, l’ 1 febbraio 2004 il boss latitante di Castelvetrano scriveva a Bernardo Provenzano che non poteva ripondere alla sua richiesta, come a un’altra di Lo Piccolo, a cause delle ripetute azioni delle forze dell’ordine. La richiesta riguardava un favore su Marsala per la Vetro Sud. Ancora Messina Denaro il 25 maggio 2004 scrive a Provenzano ribadendo i problemi con la famiglia di Marsala e indicando come, nonostante la zone fosse “scoperta” Filippo Guttadauro (presunto boss di Brancaccio – Palermo), cognato di Messina Denaro avrebbe provveduto a una “messa a posto” con gente fuori dal giro. “La volta scorsa –c’è scritto tra l’altro nel “pizzino”- lei mi aveva chiesto una cortesia su Marsala ed io le dissi che quella zona era scoperta ed ancora così è, però è successa una cosa positiva e cioè 121 ha sistemato la cosa tramite gente normale che si conoscono per commercio”.

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