“Santi Sapurcri”, in allestimento nelle parrocchie di Montelepre gli “Altari della Reposizione”

In fase di preparazione i “Santi Sapurcri” (così come i monteleprini chiamano gli altari  della Reposizione) allestiti nella Chiesa Madre e nella Parrocchia Santa Rosalia di Montelepre in occasione del Giovedì Santo.

Come da tradizione, anche quest’anno, l’altare della Matrice sarà  preparato dalla Congregazione del Santissimo Sacramento, mentre a Santa Rosalia, saranno i giovani della parrocchia, sotto la guida di Enza Gaglio e Filippo Ciulla, ad ideare la Cappella della Reposizione.

Tra gli addobbi tipici, i fiori bianchi, il vino fatto bollire con l’incenso e i semi di grano germogliati al buio che simboleggiano il passaggio dalle tenebre della morte di Gesù alla sua Resurrezione. L’interramento del seme che sorge a nuova vita è la metafora del Cristo che risorge dopo la morte, ed esplicitamente rimanda a quella energia vitale del ciclo vegetativo che rivive e si celebra nel tempo di Pasqua.

Negli altari vengono collocati anche i simboli dell’ultima cena, il pane, i 12 piatti degli Apostoli e il tabernacolo dove viene collocata l’Eucarestia; tutti doni e simboli umili, rappresentativi della comunità.

Tutto il resto delle Chiese resta in penombra, in segno di dolore perché inizia  la Passione di Gesù; le campane tacciono, l’altare più grande è disadorno, il tabernacolo vuoto con la porticina aperta, i Crocifissi coperti. 

Nella Chiesa di Santa Rosalia, essendo ad unica navata, l’altare della Reposizione domina invece l’altare centrale davanti il quale i fedeli si fermano in amorosa contemplazione, interrotti dal cupo suono della “troccula” che richiama al silenzio adorante, grati per il dono della Santa Eucaristia.  

Nella consacrazione eucaristica si ripete e si riattualizza il triplice mistero di Passione, Morte e Resurrezione.

Gli spazi delle chiese addobbate per la “Missa in Cena Domini” , infatti, accolgono le specie eucaristiche consacrate per conservarle fino a venerdì pomeriggio, quando, durante la liturgia della Croce, verranno distribuite ai fedeli per la comunione sacramentale.

E’ noto che dopo la messa vespertina del Giovedì Santo non sono consentite altre celebrazioni eucaristiche sino alla notte di Pasqua, per cui per la comunione devono essere utilizzate necessariamente le particole messe da parte la sera del Giovedì. Durante la funzione i sacerdoti, in tutte le Chiese, riproporranno inoltre  il gesto compiuto da Gesù nell’Ultima Cena, la cosiddetta “lavanda dei piedi”.

Chi per fede, chi per curiosità, la sera del Giovedì Santo si muove per le vie cittadine in visita agli altari delle chiese, addobbati solennemente per esprimere l’idea del lutto e della sepoltura. Il Venerdì Santo, poi, verrà rinnovata la commovente  processione dell’urna con il Cristo Morto e del simulacro della Vergine Addolorata. La liturgia inizia nel silenzio ed è incentrata sulla narrazione delle ultime ore di vita terrena di Gesù secondo il Vangelo di Giovanni e sull’Adorazione della Croce, non un semplice strumento di tortura ma segno dell’amore che Dio nutre verso gli uomini.

Il Venerdì Santo le campane non suonano in segno di lutto, mentre i fedeli praticano l’astinenza da carne o il digiuno ecclesiastico, in segno di penitenza per i peccati di tutti gli uomini che Gesù è venuto ad espiare nella Passione.

A Montelepre, il rito sacro della processione del Venerdì Santo si rinnova dal 1834, cioè l’anno successivo dall’atto di costituzione dell’antica congregazione del Cristo Morto che venne all’epoca fondata da 12 galantuomini del paese che si distinguevano dalle maestranze per status culturale e sociale. Solo loro, rappresentando l’alta borghesia, avevano all’epoca il privilegio di portare il peso del Sacrificio di Gesù. Originariamente, infatti, come dimostrano numerosi documenti che lo storico Don Santino Terranova ha riportato alla luce durante le sue minuziose ricerche, in paese, nella giornata del Venerdì Santo, dalla Chiesa Madre usciva in Processione solo la Madonna Addolorata, imponente statua lignea del XVIII secolo custodita nel Duomo cittadino che, avvolta da un pregiato manto nero, viene tradizionalmente portata a spalla dal ceto delle maestranze, rigidamente in abito scuro. 

In tutti è vivo il profondo attaccamento e la devozione, ampiamente manifestato il giorno della solenne processione, durante la quale il religioso silenzio viene scandito dalle marce funebri eseguite dalla banda musicale. Centinaia di fedeli, anche a piedi scalzi, accompagnano i due simulacri sino alla fine recitando preghiere in lingua siciliana:

“Chianci, chianci, piccaturi
Ca muriu lu Ridinturi

Rit. Chianci e grira accussì forti
ca pi nui, patiu la morti

1. Santissimu Crucifissu,
a vui riccurru spissu.
Avvucatu pressu Diu,
prutitturi amatu miu.

2. A nui tutti prisirvati,
a nui tutti libirati,
di fami, peste e guerra
e trimuri di la terra.

3. Siti sempri nostru scutu
prutitturi e nostru aiutu.

4.Santissimu Crucifissu
cu Vui mi cunfiru spissu
cu Vui confiru e speru
a grazia aspittannu ri lu celu

5.Santissimu Ecce Homu
quant’è beddu lu Vostru nnomu;
quant’è granni a Vostra putenza
mannatimi a ddivina provvidenza”

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