Mafia, arresti e perquisizioni a fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro

In  manette due fiancheggiatori della primula rossa di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro. In  carcere finiscono  Giuseppe Calcagno, 46 anni, sarebbe stato uno dei postini del boss superlatitante e il pregiudicato Marco Manzo di 55 anni. Entrambi  accusati di associazione mafiosa ed estorsione, risiedono a Campobello di Mazara. L’operazione condotta dalla squadra mobile di Trapani, guidata da Fabrizio Mustaro, ha previsto anche una quindicina di perquisizioni domiciliari ed una di queste è stata eseguita nella casa in cui vive  l’anziana madre di Matteo Messina Denaro, ritratto in un dipinto appeso nel salone dell’abitazione, con una corona in testa. I loro nomi erano saltati fuori quando fu arrestato Vito Gondola, l’anziano boss di Campobello di Mazara, deceduto tre anni fa. L’inchiesta coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Giovanni Antoco e Gianluca De Leo svelerebbe che Calcagno faceva parte della rete di comunicazione del latitante, mentre Manzo si occupava dei collegamenti fra mandamenti mafiosi. In un pizzino del 2015, il boss di Castelvetrano si sarebbe interessato di un terreno. Su sua indicazione la famiglia mafiosa intervenne per convincere i proprietari ed eredi a “venderlo”. Da qui la contestazione di tentata estorsione per il latitante. Il terreno era appartenuto anche a Toto Riina. Le direttive giungevano in aperta campagna, tra Mazara del Vallo e Salemi. Una vecchia masseria in contrada Lippone è stata la stazione di posta del lattante. Fino al marzo 2010 il sistema di trasmissione della corrispondenza era stato gestito dai cognati del latitante, Vincenzo Panicola e Filippo Guttadauro, e dal fratello Salvatore. Sono stati tutti arrestati nel 2011. Poi nel 2015 toccò a Gondola, nome storico della mafia trapanese. C’era pure lui nella cena organizzata nel dicembre del 1991 a base di ostriche, aragoste e Dom Perignon nella casa di Tonnarella dove dimorava Totò Riina. Fu lì che il capo dei capi decise di sterminare i nemici della mafia marsalese. Assieme a Gondola nel blitz furono coinvolti anche Michele Gucciardi, boss di Salemi, che il postino di Messina Denaro lo aveva già fatto negli anni Ottanta. I pizzini, spediti tre al massimo quattro volte l’anno, andavano letti e subito distrutti. Poi, toccava a Gondola distribuire gli ordini e attendere l’arrivo delle risposte che andavano preservate dagli occhi indiscreti. Intanto, nella requisitoria del pm Gabriele Paci in uno dei processi in cui è coinvolto il  boss, latitante dal 1993, è emerso che anche lui ha partecipato alle barbarie cui fu sottoposto il piccolo Giuseppe Di Matteo, rapito e tenuto prigioniero per tre anni per poi ucciso e sciolto nell’acido, autorizzando che il bambino, nel corso della lunga prigionia, restasse in tre occasioni ristretto in un immobile vicino Castellammare del Golfo  e in uno vicino Custonaci”. “Giuseppe Di Matteo, figlio del mafioso Santino – ha continuato Paci – fu sequestrato per tentare di bloccare la collaborazione del padre con la giustizia. Matteo Messina Denaro oltre a organizzare e deliberare il sequestro, mettendo a disposizione, nel trapanese, i covi in cui il piccolo Di Matteo venne tenuto segregato”. Dopo 779 giorni di prigionia il piccolo di Matteo, l’11 gennaio del 1996, venne strangolato e sciolto nell’acido.

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