DIA: “Improbabile che Messina Denaro sia il nuovo capo dei capi”

Cosa nostra “non può rinunciare a dotarsi di un nuovo capo”, ma la successione di Totò Riina dopo la sua morte presenta “aspetti problematici” ed è “a rischio di forti tensioni che potrebbero sfociare in atti di forza, con pericolose ripercussioni nell’immediato”. A lanciare l’allarme è l’ultima Relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia, secondo cui nel frattempo “l’organizzazione continuerà ad essere caratterizzata da un organismo collegiale provvisorio”, costituito dai capi dei mandamenti urbani più forti e rappresentativi, con funzioni di consultazione e raccordo strategico”. Improbabile, dicono gli investigatori della Dia, che a succedere al boss corleonese sia il superlatitante trapanese Matteo Messina Denaro, “pur essendo egli l’esponente di maggior caratura tra quelli non detenuti, ed in grado di costituire un potenziale riferimento, anche in termini di consenso, a livello provinciale”. Secondo la Dia “i boss dei sodalizi mafiosi palermitani, storicamente ai vertici dell’intera organizzazione, non accetterebbero di buon grado un capo proveniente da un’altra provincia”. E poi Messina Denaro “negli ultimi anni, si sarebbe disinteressato delle questioni più generali attinenti Cosa nostra, per poter meglio gestire la latitanza e, semmai, gli interessi relativi al proprio mandamento ed alla correlata provincia”, cosa di cui si sarebbe lamentato lo stesso Riina, intercettato in carcere. C’è da tenere conto anche di “un generale senso d’insofferenza verso la leadership corleonese, ormai provata e decimata, la cui maggioranza è costituita da boss detenuti in espiazione di pene definitive all’ergastolo e ristretti in regime speciale”. Nè può escludersi che “giovani capi emergenti ed in via di affermazione sfruttino la situazione e cerchino spazi per imporsi, entrando in conflitto con anziani uomini d’onore”. Sempre secondo la Dia,bisogna considerare “le contraddizioni di un’organizzazione chiamata, oggi, a misurarsi con i discendenti dei cosiddetti ‘scappati’, i perdenti sopravvissuti alla guerra di mafia vinta dai corleonesi: che per salvarsi la pelle furono costretti ad espatriare in America. Molti di loro, da qualche tempo tornati a Palermo e la Dia non esclude che possano pensare di “consumare le proprie vendette, riappropriandosi del potere mafioso”. Nel report semestrale, la Dia riferisce pure delle indagini fatte sulle amministrazioni locali. Le 55 denunce per “scambio elettoralepolitico-mafioso” registrate nel 2017 “testimoniano il permanere di un pericolo latente nell’ambito delle amministrazioni pubbliche, che nel prossimo futuro potrebbe tradursi in nuovi casi di scioglimento di enti locali per comportamenti indebiti e vantaggiosi per Cosa Nostra, come l’assegnazione di appalti o l’assunzione di lavoratori.

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