MAFIA. IL BOSS DOMENICO RACCUGLIA NON INTENDE COLLABORARE CON LA GIUSTIZIA

Avrebbero tentato di convincere il boss di Altofonte, Domenico Raccuglia, a collaborare con la giustizia, gli uomini della sezione catturandi della squadra mobile di Palermo, guidati da Mario Bignone. Lo avrebbero raggiunto nel carcere di massima sicurezza di Tolmezzo in cui è rinchiuso, per invitarlo a pentirsi, ma lo sguardo di ghiaccio di Raccuglia sarebbe stata la risposta a tutte le domande. Non parla e non ha nulla da dichiarare il numero due di “Cosa nostra” catturato il 15 novembre scorso, dopo 13 anni di latitanza, a Calatafimi. Il boss 45enne era ricercato per mafia, omicidi, estorsioni, rapine; per questi reati aveva collezionato tre ergastoli tra cui quello per l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, brutalmente sciolto nell’acido. Intanto emergono una serie di particolari che hanno portato alla cattura del veterinario a cui gli agenti della Catturandi e dello Sco sarebbero arrivati tenendo sott’occhio otto “postini”, che si muovevano tra Camporeale e Altofonte, incaricati di portare la corrispondenza diretta e inviata dal boss. Lo scambio dei pizzini avveniva in auto con un rito che ha messo in difficoltà gli investigatori. Due auto con i finestrini aperti si incrociavano in una strada e con l’auto in corsa si scambiavano rapidamente i messaggi. Dettagli rilevati da un sistema sofisticato di monitoraggio che gli inquirenti hanno dovuto installare, per poi esaminare in slomotion i vari frame delle immagini che riprendevano gli scambi. Particolari fondamentali che hanno consentito agli agenti di individuare l’autovettura che li ha condotti fino al covo di Calatafimi. Ci sono volute quasi due anni di indagini per arrivare alla cattura di Mimmo Raccuglia. E alla fine, al momento dell’irruzione nell’appartamento di Via Cabasino, gli uomini della catturandi e dello sco non erano ancora certi se a rifugiarsi nel covo fosse lo stesso Raccuglia o il numero uno di cosa nostra Matteo Messina Denaro. La famosa telefonata partita da un militare dell’arma nell’abitazione dei favoreggiatori di Raccuglia, che fece sospettare la presenza di una talpa nelle forze dell’ordine, accelerò l’operazione. Gli investigatori, ancor prima di potere accertare da chi fosse abitata la palazzina, fecero irruzione per scongiurare un’eventuale fuga. A dare l’ok sarebbe stato il sostituto procuratore della repubblica di Palermo, presso la direzione distrettuale antimafia Antonio Ingroia, che trovandosi a Calatafimi per passare il fine settimana nella sua casa di villeggiatura, appreso della presunta talpa avrebbe autorizzato l’irruzione. Adesso è in corso l’analisi dei pizzini scritti a mano ritrovati nello zaino che Raccuglia ha maldestramente tentato di salvare, lanciandolo dalla finestra. Un tentativo vano visto che il “patrimonio” del boss è finito tra i piedi degli agenti che circondavano il covo. Una quarantina di “pizzini” con nomi e, accanto, cifre che vengono spulciati dagli agenti della polizia Scientifica e di cui una ventina parlerebbero del territorio di Partinico. Dalle minuziose analisi dei biglietti sarebbe emerso che il boss avrebbe intrattenuto rapporti diretti con politici locali. Particolari che fanno presagire ulteriori sviluppi scottanti. Ieri, uomini della questura e dell’arma dei carabinieri hanno sgominato la rete di fiancheggiatori che hanno favorito la latitanza del boss di Corleone Bernardo Provenzano, catturato l’11 aprile del 2006 dopo 43 anni di latitanza. Adesso, le indagini, degli investigatori puntano a dare volti e nomi di quanti hanno favorito e gestito gli affari del boss di Altofonte finito in manette.

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