Alcamo, Camera del Lavoro e Flai: “il caporalato è sempre esistito in città”

  “Il caporalato è una consolidata realtà che nelle campagne e nelle serre della provincia di Trapani persiste generando illegalità e sfruttamento di manodopera italiana e straniera, anche minorenne”.

La Flai Cgil e la Camera del Lavoro di Alcamo intervengono sul fenomeno del caporalato dopo l’indagine della Procura di Trapani da cui sono scaturiti undici avvisi di garanzia e i domiciliari per un imprenditore agricolo di Alcamo per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.

“Ogni mattina – dicono il segretario della Camera del lavoro di Alcamo Giuseppe Favara e il segretario della Flai Giovanni Di Dia – diversi lavoratori vengono prelevati nelle piazze e portati nelle terre a lavorare con paghe che in rapporto all’orario di lavoro e al contratto nazionale sono più che dimezzate. In alcuni casi – proseguono – i lavoratori percepiscono una tabella paga corretta, ma solo sulla carta perché parte delle somme viene riconsegnata al datore di lavoro. Ad Alcamo – concludono – la situazione è complessa, il lavoro nero è una realtà non solo in agricoltura ma in molti settori”.

Intanto la Cgil e la Flai Cgil hanno annunciato che intensificheranno l’attività sindacale nel territorio per monitorare e denunciare alle forze dell’ordine il fenomeno del caporalato e lo sfruttamento dei lavoratori.

La complessa indagine sul fenomeno del caporalato culminata con l’arresto  di un giovane imprenditore agricolo di Alcamo è partita da una lettera pervenuta al locale commissariato di polizia nel giugno del 2018 sottoscritta dalla responsabile  di una comunità alloggio che ospita minori stranieri non accompagnati. Nella missiva veniva segnalato il probabile impiego in attività lavorative di alcuni ragazzi che venivano uscire, dal personale di vigilanza della struttura, intorno alle 5 circa del mattino per rientrare tra le 14 e le 17 in evidente stato di stanchezza fisica. Le indagini della sezione investigativa coordinate dal pm Francesca Urbani scattarono immediatamente e ci sono voluti due anni per riuscire a mettere su le prove utili a far scattare gli arresti domiciliari per il 33enne   Nicolò Lo Ciacio che ha l’obbligo di indossare il braccialetto elettronico. L’imprenditore agricolo é accusato di essere il promotore, costitutore ed organizzatore delle selezioni degli operai da impiegare nei campi. Sfruttati e sottopagati. Tra le vittime anche minori extracomunitari ospitati nelle strutture di accoglienza del trapanese.   Nell’inchiesta, oltre all’imprenditore, sono coinvolte altre undici persone: intermediari e titolari di aziende agricole. Tra loro anche Salvatore Mercadante, arrestato l’estate scorsa nel blitz antimafia ‘Cutrara’ e figlio dell’ex reggente di Castellammare del Golfo, Michele Mercadante, anche lui detenuto. «Ricordo che ho chiesto a lui se era possibile farmi un contratto di lavoro – raccontò alla Polizia un minore di origini senegalesi – e lui in più di un occasione mi ha detto che lo avrebbe riferito al padrone, che a suo dire si trovava fuori paese, e mi avrebbe potuto dare una risposta, che però non ho mai ottenuto». Gli agenti della polizia in questi due anni hanno documentato paghe giornaliere del valore di 25 euro per sei ore di lavoro e di 40 euro per nove, a fronte di una paga da 61,34 euro prevista dai contratti nazionali per un impiego di sei ore e mezza. Una decina i lavoratori, sia italiani che stranieri, vittime di caporalato. Oltre a Nicolò Lo Ciacio sottoposto ai domiciliari e sulla cui posizione il Tribunale del riesame si pronuncerà il prossimo 29 gennaio, vi sono indagati anche il padre Francesco, lo zio Girolamo Romeo, Giuseppe Calia, Vincenzo Coppola, Salvatore Gucciardo, Giuseppe Mistretta, Francesco Pirrone, Girolamo Romeo, Salvatore Cristina e Vincenzo Fundarò, tutti alcamesi e, infine,  Salvatore Mercadante di Castellammare del Golfo, attualmente recluso per altre vicende giudiziarie.

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