Chiesto il rinvio a giudizio di Matteo Messina Denaro per le stragi del ’92

La Procura di Caltanissetta ha chiesto il rinvio a giudizio per il super latitante Matteo Messina Denaro , ritenuto mandante delle stragi del 92, avvenute a Capaci e, a Palermo, in Via D’Amelio.

L’udienza preliminare è stata già fissata per il prossimo 22 dicembre, davanti al giudice Marcello Testaquatra. Gli atti processuali sono stati notificati dagli ufficiali della Dia nissena alla madre del boss di Castelvetrano.

La decisione dei giudici arriva dopo le rivelazioni di alcuni pentiti, tra cui Vincenzo Sinacori, il quale sostiene che, alla riunione di fine settembre del 1991, che il capo dei capi Salvatore Riina tenne proprio a Castelvetrano per comunicare l’avvio della stagione stragista, c’era pure Messina Denaro.

Il collaboratore di giustizia ha raccontato che nell’autunno del 1991, Matteo Messina Denaro portava a spasso Totò Riina a bordo della propria Alfa 164 bianca nella provincia di Trapani. Era già stato insignito del ruolo di boss, in sostituzione del padre Francesco che aveva problemi di salute.

Dallo scorso 26 gennaio, Matteo Messina Denaro, dunque, è ricercato pure per il tritolo fatto esplodere nel 92, per uccidere Giovanni Falcone, la moglie, Paolo Borsellino, e gli 8 agenti di scorta.

Il boss di Castelvetrano è già stato definitivamente condannato per le stragi di Roma, Milano e Firenze del 1993.

Adesso, l’inchiesta della procura nissena guidata da Amedeo Bertone, delinea un nuovo quadro del personaggio su cui Totò Riina riponeva totale fiducia. Già all’epoca, sebbene poco più che trentenne, Matteo Messina Denaro era destinato a scalare i vertici della cupola mafiosa.

Il pentito Francesco Geraci, ha raccontato ai Procuratori Aggiunti Gabriele Paci e Lia Sava e, al Sostituto Stefano Luciani, che in quello stesso periodo, Matteo Messina Denaro portò Totò Riina, la moglie e le due figlie, nella sua gioielleria. A lui, affidarono una borsa con gioielli di famiglia, affinchè li custodisse. Il collaboratore di giustizia dice di averli occultati in un nascondiglio segreto della propria abitazione assieme a dei lingotti d’oro che, in un’altra occasione, Messina Denaro gli portò per conto di Riina.

“Nello stesso periodo – ha raccontato Geraci – feci fare al capo dei capi e alla sua famiglia, in due diverse occasioni, delle gite in barca. Con noi c’erano i suoi quattro
figli, Matteo Messina Denaro e, anche le figlie di Pietro Giambalvo e di tale Vartuliddu di Corleone che all’epoca abitavano a Triscina. Giambalvo era l’intestatario della casa di Castelvetrano, dove si tenne la riunione per le stragi.

“Matteo Messina Denaro – ha ricordato il pentito Francesco Geraci – regalò un Rolex Daytona, in oro e acciaio, a Gianni Riina, uno dei figli del capo di Cosa nostra , ed io feci lo stesso con l’altro figlio, Salvatore.

Secondo i collaboratori di giustizia, Riina affidò a Matteo Messina Denaro, che aveva già decine di omicidi alle spalle, il compito di colpire Falcone a Roma. Vincenzo Sinacori ha detto che il boss di Castelvetrano caricò una macchina “con mitra, kalashnikov, alcuni revolver e due 357 cromate nuove”. Procurò anche dell’esplosivo nella zona tra Menfi e Sciacca. Al pentito Geraci, Messina Denaro disse di che a Roma cercava casa ai Parioli e poi li invitò portare degli abiti adeguati perché nela capitale avrebbero frequentato dei locali alla moda.

Un altro pentito, Antonino Patti, ricorda il boss di Castelvetrano assieme a Totò Riina il giorno del grande pranzo di natale del 1991, a Mazara del vallo. In quel periodo erano proprio inseparabili. Intercettato nel carcere di Opera dai Pm di Palermo, lo stesso Totò Riina ha rammentato di avere insegnato molte cose a Matteo Messina Denaro dopo che il padre glielo affidò.

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