Carini, il pentito Nino Pipitone rivela i rapporti litigiosi avuti con il padre

Dissidi, contrasti e divergenze di idee avrebbero caratterizzato il rapporto tra il neo pentito di Carini , il 47enne Nino Pipitone e il resto della sua famiglia.

Soprattutto con il padre, l’anziano boss Angelo Antonino Pipitone di 73 anni che, dopo alcuni dissidi con il fratello Vincenzo,  avrebbe guidato la famiglia mafiosa di Torretta.

 Il collaboratore di giustizia, secondo quanto pubblicato oggi dal Giornale di Sicilia,  delinea, ai pm Amelia Luise e Anna Maria Picozzi, un  quadro litigioso, addossando, alcune responsabilità al padre per avere messo la famiglia in certi guai ed esprimendo addirittura odio nei suoi confronti.

L’ex capomafia che è in cella dal 2006, nel procedimento giudiziario che vede coinvolti i genitori, le sorelle, i cognati e i cugini accusati aver tentato di far sparire i beni della famiglia, ha messo a verbale che le acredini sarebbero scaturite da alcune iniziative decise dall’anziano padre che, avrebbe coinvolto nelle operazioni alcuni parenti tutt’altro che puliti. Nino Pipitone avrebbe addirittura di estromettere dal clan il padre, tornato in libertà prima che lui finisse in cella.

“Gli avevo detto di lasciare in pace le mie sorelle, perché i miei cognati grazie a Dio lavorano tutti, di sistemare alcune cose e di godersi la vecchiaia – ha raccontato il pentito ai magistrati – ma appena è uscito dalla galera ha solo litigato con tutti, pure con mia moglie. Non ha assistito a nessun matrimonio delle mie sorelle, perché in carcere e, quando mi sono sposato io, seppur in libertà, ma sottoposto alla sorveglianza speciale, è venuto in chiesa per portarsi via mia madre. Ed io che ho organizzato le nozze di mattina per assicurarmi la sua presenza.

Al ricevimento tutti chiedevano di lui, alcuni andarono a cercarlo pure in campagna, ma niente. Sicuramente non è venuto perché ho invitato contro il suo volere suo fratello Vincenzo, che poi non c’era neanche lui”.

E ancora, il collaboratore di giustizia, racconta altri sgarbi subiti dal padre. Quando è nato il suo primogenito, ad esempio, non sarebbe andato a vederlo in ospedale, nonostante avesse ottenuto un permesso per andarsi a fare una visita medica a Palermo. “Non mi interessa di mio padre, dei suoi processi, litighiamo sempre” avrebbe precisato il pentito che, gli avrebbe battuto le mani la prima volta la prima volta che si sarebbero incontrati in carcere.

Nino Pipitone svela una diatribba sorta tra il padre e un allevatore, certo Giovanni Cataldo che, alla famiglia mafiosa avrebbe venduto un terreno in contrada Manostalla o Cozzolupo. L’ex capomafia non gli avrebbe mai riconosciuto 10 milioni delle vecchie lire reclamate dall’allevatore per quella compravendita. “Un giorno – dice Pipitone – dissi a mio padre di darglieli sti soldi a Giovanni Cataldo, di far finta di stare pagando delle tasse ed evitare che andasse parlando male di noi. Ma non glieli diede mai”. Tant’è che, al processo che vede imputati fra gli altri lo stesso Angelo Antonino Pipitone, la moglie Franca Pellerito, le figlie Graziella ed Epifania col marito Benedetto Pipitone, l’allevatore Giovanni Cataldo, in aula avrebbe ribadito il proprio disprezzo contro di loro, ricordando di avere maltrattato la moglie dell’anziano boss che si era presentata a lui per rivendicare il terreno con i capannoni.

Il pentito Nino Pipitone, ha poi raccontato della società Girasole, costituita prima del 2000 da Angelo Antonino Pipitone, Calogero Enea di Torretta, il palermitano Benedetto Dragotta che era assessore tecnico al comune di Torretta e dal costruttore edile Gaetano Giammona. Anche Nino Pipitone ne faceva parte, ma dopo alcune discussioni con Enea se ne sarebbe uscito. L’azienda aveva comprato il terreno, nell’area industriale di Carini, dove insiste il capannone di Roberto Helg, l’ex imprenditore antiracket condannato per un estorsione a 4 anni e 8 mesi. Il collaboratore di giustizia ha dichiarato che Helg non avesse mai voluto incontrare nessuno dei Pipitone; che l’affitto mensile all’epoca ammontava da 8-9 milioni di lire ma che non avrebbe mai saputo a chi, questi soldi, arrivassero.

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