Nuovo colpo alla mafia tra Corleone, Chiusa Sclafani e Palazzo Adriano. In 12 in manette (Video)

8 imprenditori abbattono il muro dell’omertà e fanno cadere nella rete degli investigatori 12 presunti mafiosi tra Corleone, Chiusa Scalafani e Palazzo Adriano. Le loro denunce hanno fatto scattare un blitz, all’alba di oggi, condotto dai carabinieri del comando provinciale di Palermo. Si tratta della quarta tranches dell’indagine “Grande Passo”, che ha pure portato allo scioglimento del Comune di Corleone per sospette infiltrazioni mafiose.

In manette, su disposizione del giudice delle indagini preliminari Fabrizio Anfuso, sono finiti : Carmelo Gariffo, nipote di Bernardo Provenzano, uscito dal carcere nel 2014, l’allevatore Bernardo Saporito che gli faceva da autista, gli operai forestali stagionali Vincenzo Coscino, ritenuto gregario di Gariffo e, Vito Biagio Filippello, il capo cantoniere Francesco Scianni, il figlio del capomafia Rosario Lo Bue, Leoluca, e Pietro Vaccaro, questi ultimi due allevatori. Hanno ricevuto un’ordinanza in carcere per le estorsioni Antonino Di Marco, Vincenzo Pellitteri e Pietro Masaracchia, boss già arrestati qualche mese fa. Masaracchia era stato intercettato mentre parlava di un progetto di attentato contro il ministro dell’Interno Angelino Alfano. In cella pure gli omonimi Francesco Geraci, nipote e figlio di un capomafia deceduto, entrambi imprenditori agricoli. Per altri due incensurati Gaspare e Pietro Gebbia, padre e figlio, di Palazzo Adriano è scattata la libertà vigilata. Questi ultimi si erano rivolti al clan per uccidere un parente, che ritenevano di troppo nella divisione di un’eredità.

Secondo i sostituti procuratori Sergio Demontis, Caterina Malagoli, Gaspare Spedale e dell’aggiunto Leonardo Agueci che hanno coordinato le indagini, si tratta dei nuovi boss di Corleone, eredi di Totò Riina e Bernardo Provenzano, il primo è al carcere duro dal 1993, l’altro è morto in cella il 13 luglio scorso.

Il nome più autorevole fra gli arrestati è quello di Carmelo Gariffo, il nipote prediletto di Provenzano. Al funerale dello zio capomafia, era in prima fila davanti all’urna con le ceneri del vecchio padrino. Un’immagine simbolo.

Gariffo conosce i segreti della vecchia mafia corleonese. Perché è stato più di un nipote prediletto, è stato a lungo il segretario di Bernardo Provenzano, è stato l’ultimo amministratore della rete dei pizzini con il codice “123”, Matteo Messina Denaro, ancora oggi latitante, era “Alessio”.

Gariffo era tornato in libertà da tre anni, i carabinieri del Gruppo di Monreale e della Compagnia di Corleone lo hanno intercettato mentre parlava di appalti ed estorsioni con il nuovo reggente del clan, Antonino Di Marco, un insospettabile dipendente comunale che organizzava i summit nel suo ufficio, allo stadio di Corleone. “Basta uno, non c’è bisogno di cento”, diceva Gariffo, parlando della riorganizzazione della cosca. I militari hanno intercettato tutti i dialoghi, poi hanno convocato gli imprenditori ricattati, che hanno ammesso di aver pagato.

Gariffo pretendeva un posto in un cantiere comunale, l’ex sindaco Lea Savona si era rivolta ai carabinieri. Ma ciò non è bastato per evitare lo scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose, lo scorso mese di agosto. Secondo il consiglio dei ministri i nuovi boss del paese controllavano già settori vitali della vita amministrativa. Dalla gestione dei rifiuti, alla mensa scolastica, ai tributi soprattutto: la nuova società incaricata aveva fatto scendere la riscossione di oltre quaranta punti percentuali, dal 73 al 25 per cento e, i boss e i loro familiari, ma anche alcuni politici locali, non avrebbero pagato tasse.

In questa quarta tranche dell’Operazione Grande Passo, gli investigatori hanno accertato che i mafiosi si erano presentati nei cantieri per la costruzione di un campetto sportivo polivalente e per la ristrutturazione degli antichi abbeveratoi a Corleone. Sono una dozzina, in tutto, gli imprenditori che risultano estorti. Alcuni di loro hanno negato l’evidenza, ma nella roccaforte dell’omertà, altri hanno deciso di rompere il silenzio.

“L’organizzazione mafiosa aveva alzato barriere che sembravano impenetrabili – ha detto il Comandante provinciale dei Carabinieri di Palermo, il Colonnello Giuseppe De Riggi – puntava a controllare un intero territorio in modo esclusivo. Ma le indagini e le risposte positive arrivate dagli imprenditori hanno superato tutte le barriere, anche grazie ai giovani di Addiopizzo, che ci hanno accompagnato in questo percorso”.

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