CASO GIULIANO. SIMANELLA RENDE PUBBLICA LE TESTIMONIANZE DELL’AVVOCATICCHIO

Lo storico Luigi Simanella, che nei giorni scorsi aveva annunciato di essere in possesso di testimonianze scottanti sulla finta morte del bandito Salvatore Giuliano quel 5 luglio 1950, ha inviato anche alla nostra redazione le dichiarazioni dei due infermieri che hanno assistito negli ultimi giorni della sua vita Gregorio Di Maria, l’avvocaticchio di Castelvetrano che ha ospitato il bandito di Montelepre, il cui presunto cadavere è stato rinvenuto proprio nel suo cortile di casa. Di Maria, avrebbe detto e in occasioni diverse ai due infermieri testuali parole: “La sera prima mi vennero a trovare per concordare il tutto. La società, la loggia, ………i carabinieri; tutto era già stato stabilito, doveva morire quell’altro…… povero picciotto!!!! In cambio a lui, quello vero, lo facevano andare lontano. Tutti gli omicidi che li aveva fatti lui? Di sua spontanea volontà? Lo usavano e non lo prendevano. Poi, però, quella cosa che gli hanno accollato era grossa ( la strage di Portella della Ginestra), più grossa di lui, non ha potuto fare altro che scapparsene. Uno dei primi scappati è stato: mafia e politica, politica e brigantaggio. Era troppo scomodo, sapeva troppe cose. Pure nelle sue memorie lo scrisse che non era stato lui e li affidò a un amico sincero, me lo disse molte volte: “Queste cose non me le calo. Un giorno lontano ritorno e li ammazzo tutti”; …. lo sapeva che non sarebbe più tornato. Quello di Palermo che c’ha queste cose è legato a giuramento come quello di una volta. Questo quanto raccolto dallo storico Simanella, che avendo incontrato diverse volte Di Maria, afferma che l’avvocato si era affezionato a Salvatore Giuliano. L’avvocaticchio lo ospitò a casa sua per ben tre mesi e mezzo, dal natale 1949 a marzo 1950. Fece ritorno, poi, il 25 giugno e rimase in casa di Di Maria fino al 5 luglio, giorno della sua presunta morte. Secondo Simanella l’avvocato di Castelvetrano, sapeva benissimo che Giuliano era emigrato all’estero, quindi era vivo, e se lui avesse parlato avrebbe messo in serio pericolo la libertà e l’incolumità di quell’uomo. D’altronde –riflette lo storico- lui ha conosciuto soltanto l’aspetto umano di Giuliano e non quello del bandito, e non nutriva per lui alcuna forma di risentimento.

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