Giardinello, l’ergastolano Filippo Di Piazza chiede la revisione del processo

L’ergastolano di Giardinello Filippo Di Piazza ha avanzato, attraverso il suo legale Cinzia Pecoraro, istanza di revisione del proprio processo, in cui venne assolto in primo grado ma successivamente condannato all’appello e in Cassazione. Come scrive oggi il giornale di Sicilia, il suo legale punta sulle deposizioni di due persone che, non confermerebbero le versioni rese dal pentito Giovanni Mazzola, ex imprenditore di Montelepre, reo confesso della duplice, brutale esecuzione avvenuta nel 1983  nei confronti di Giuseppe Celestino e Giuseppe Candela, due monteleprini che, sarebbero prima stati uccisi con colpi di arma da fuoco e poi dati alle fiamme. I nuovi testi sono un imprenditore specializzato negli scavi e un artigiano che si occupava di riparare sedie. Per la morte dei due ragazzi vennero inflitti 4 ergastoli. Oltre a quello di Filippo Di Piazza, ex macellaio di 68 anni, in carcere già da quasi vent’anni, anche quello del fratello Francesco, considerato boss di Giardinello e morto suicida in carcere. Oltre alle nuove testimonianze che scagionerebbero Filippo Di Piazza, ci sarebbero ulteriori perizie balistiche che  confermerebbero i dubbi già emersi sulle versioni rese dal collaboratore di giustizia Giovanni Mazzola. La decisione di revisionare il processo toccherà  alla Corte d’appello di Caltanissetta. Già la moglie di Filippo Di Piazza aveva fatto un appello all’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, alla fine del 2006, sostenendo la completa estraneità del marito ai fatti. Ma una prima istanza di revisione era stata respinta. A 36 anni dai fatti accaduti, dunque, si mettono in discussione le dichiarazioni rese da un pentito e su cui si basano diverse condanne inflitte nell’ambito di diverse operazioni antimafia.  Giuseppe Candela e Giuseppe Celestino all’epoca dei fatti avevano 21 e 22 anni ed erano considerati ladruncoli di stereo sulle auto. Insieme furono visti allontanarsi dal paese, il 18 novembre del 1983, , a bordo di un’Alfa Romeo Gt rossa. Otto giorni dopo, i loro cadaveri, bruciati e in avanzato stato di decomposizione, furono ritrovati in contrada Portella di Cippi, al confine fra i territori di Montelepre e Giardinello. Il caso venne archiviato e solo quattordici anni dopo il pentito Giovanni Mazzola cominciò a collaborare con la giustizia, svelando anche i dettagli di questo caso, incolpandosi direttamente del delitto dei due ragazzi, convocandoli nella macelleria di Filippo Di Piazza.   La scusa sarebbe stata l’acquisto di un’autoradio da loro rubata: Filippo Di Piazza sarebbe salito in macchina con Mazzola e avrebbe «guidato» i due, inconsapevoli di stare facendo un viaggio senza ritorno, verso la masseria dove furono assassinati. Disse ancora il pentito di avere personalmente sparato alla testa, assieme a «Ciccio» Di Piazza, alle due vittime, e che l’esecuzione lo aveva particolarmente toccato. I nuovi testi,  avrebbero detto che Filippo Di Piazza non salì nell’auto di Mazzola, che si sarebbe limitato a salutarlo, tirando dritto e continuando da solo, con i due giovanissimi al seguito. Uno dice di non avere reso queste dichiarazioni prima perchè a lungo fuori dall’Italia, l’altro per evitare interrogatori e problemi con la giustizia.  Adesso si attende la decisione della Corte d’Appello di Caltanissetta che, oltre alle loro testimonianza dovrà tenere conto pure degli esami balistici.

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