Addio Pizzo 5, la Corte d’Appello infligge 270 anni di carcere a 25 imputati

La sesta sezione della Corte d’appello di Palermo ha condannato 25 imputati, assolvendone solo uno, nel processo cosiddetto Addiopizzo 5, infliggendo complessivamente 270 anni di reclusione, contro i 326 del primo grado di giudizio, e modificando parzialmente la sentenza del Tribunale del 30 giugno 2014.

Ribadite in particolare le condanne record ai due boss di Tommaso Natale, Salvatore e Sandro Lo Piccolo, padre e figlio, che avevano avuto 30 anni, adesso riconfermati dal collegio presieduto da Biagio Insacco.

Gli imputati sono in tutto 26 (il procedimento è denominato “Acquisto+25″) che rispondono a vario titolo di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, porto e detenzione illegale d’armi da fuoco e intestazione fittizia di beni.

Gli investigatori, anche attraverso la decriptazione conclusa nel 2010 del pizzi trovati nel covo di Giardinello, dove è finita la latitanza di Salvatore e Sandro Lo Piccolo, diedero un nome ai mafiosi che gestivano il potere anche a Capaci, Cinisi e Terrasini. Complessivamente nelle cinque operazioni antimafia, gli agenti della Squadra mobile di Palermo arrestarono 184 persone e portarono a galla 87 estorsioni, tra cui il pagamento del pizzo da parte di imprenditori impegnati in lavori di ristrutturazione dell’aeroporto Falcone e Borsellino, nella realizzazione della caserma Bighelli dell’esercito, in viale Strasburgo, e di un asilo materno a Cinisi. Contestualmente, 13i commercianti decisero, di denunciare i soprusi a cui erano costretti da anni.

La sentenza riguarda Salvatore Baucina, che ha avuto 17 anni “in continuazione” (le pene si sommano fra di loro) con una precedente condanna, a lui inflitta il 16 luglio 2011; stesso meccanismo per Pietro Bruno, 16 anni che sono la risultante della condanna di adesso e di un’altra del 15 marzo 2002 per fatti analoghi; Domenico Ciaramitaro e Salvatore Randazzo hanno avuto una riduzione da tre a due anni sull’aumento di pena in continuazione, determinato in tribunale; Cusumano Anello ha ottenuto un’assoluzione parziale e si è visto ridurre la pena a sei anni e sei mesi; analoga decisione per Nicolò Cusimano, che dovrà scontare 10 anni e mezzo, così come Fabio Daricca; al monteleprino Giuseppe Di Bella la pena viene ridotta a 13 anni, per Francesco Paolo Di Piazza e Giuseppe Lo Cascio a 12; Filippo Lo Piccolo ha avuto 16 anni in continuazione con una condanna del 13 aprile 2006, Vito Mario Palazzolo stessa pena in connessione con un’altra sentenza dell’8 aprile 2011; per Salvatore e Sandro Lo Piccolo, confermati 30 anni a testa; Nunzio Serio si è visto invece ridurre la pena a 19 anni e 6 mesi. Viene assolto Felisiano Tognetti e confermate le condanne di Michele Acquisto (che in tribunale aveva avuto 12 anni), Mario Biondo, del pentito Francesco Giuseppe Briguglio (4 mesi in continuazione), Pietro Cinà (18 anni in continuazione), Giovanni Corrao (5 anni e 2 mesi), Salvatore D’Anna (12 anni), Lorenzo Di Maggio (13 anni) e Giuseppe Enea (4 anni e 2 mesi).

Nel processo era coinvolto anche l’anziano patriarca di Cinisi, Procopio Di Maggio, morto quest’anno, dopo avere compiuto un secolo di vita, e prosciolto per il decesso: in primo grado aveva avuto 12 anni e 6 mesi. Nella sentenza del collegio presieduto da Biagio Insacco sono stati confermati i risarcimenti per le parti civili, fra le quali c’era l’imprenditore Vincenzo Rizzacasa, che era stato considerato vicino alla mafia ma che nei giorni scorsi, dopo l’assoluzione definitiva in sede penale, si era visto restituire tutti i beni, sequestrati su disposizione della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, all’epoca presieduta da Silvana Saguto, giudice oggi sotto inchiesta a Caltanissetta.

Risarcimenti pure per l’Area di sviluppo industriale, le associazioni Antiracket e antiusura, Fai, la Lega delle cooperative, Solidaria, Libero Futuro e Addiopizzo, che sostengono i commercianti che si ribellano al pizzo, il Centro Pio La Torre, Confcommercio, Confesercenti, Confindustria e singoli imprenditori che si sono costituiti personalmente contro i loro estortori.
Da risarcire anche i Comuni di Capaci, Cinisi, Terrasini e Isola delle Femmine.

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