GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO. “IL BANDITO SALVATORE GIULIANO AVEVA CONTATTI CON PADRE PIO”

Mentre torna a calamitare l’attenzione di storici, ricercatori e giornalisti sul bandito Salvatore Giuliano e sul mistero della sua morte, tant’è che la Procura di Palermo ha riaperto un apposito fascicolo secondo quanto pubblicato lo scorso 29 settembre dalla Gazzetta del Mezzogiorno, in un articolo di Lello Vecchiarino, il Re di Montelepre avrebbe avuto contatti con Padre Pio, il frate di Pietralcina. Un testimone di quei giorni, Giovanni Siena, scrittore e giornalista ha dichiarato testualmente: «Per una ventina di volte mi sono trovato davanti alla scena, diciamo, in un salottino del convento, e Padre Pio, ogni volta che individuava fra i presenti un siciliano, un palermitano, gli poneva la questione: se lui era dell’avviso, secondo quanto pubblicato dai giornali, che Giuliano era morto. E quelli rispondevano: “Ma sì, è tanto evidente”. Ma Padre Pio si burlava di questa versione facendo capire che sotto c’era una cosa losca, una messa in scena. Quella della cattura e dell’uccisione di Giuliano, diceva, era una messa in scena che era costata la vita a un povero innocente che gli somigliava. Salvatore Giuliano non è morto, aggiungeva. Lui ora se ne sta in America». Evidentemente, la «santa arrabbiatura » del Frate dovette giungere in alcune stanze della Capitale, e l’allora ministro Mario Scelba giunse a San Giovanni Rotondo per parlare col Frate. «Padre Pio – spiega Siena – non volle riceverlo. Si diede malato». Anche Mariannina, la sorella di Giuliano, confidandosi con Padre Pellegrino, il Cappuccino che assistette in punto di morte il Frate stigmatizzato, gli avrebbe detto che suo fratello si trovava in America: «Gli è stato detto di tacere, altrimenti a tanti troppi pezzi grossi potrebbe nuocere». Per un momento, quindi, la vita di un santo si è incrociata con quella di un fuorilegge, fino al punto che – come rivelò Padre Pio allo scrittore Pier Carpi – lo stesso Turiddu scrisse una lettera al Frate offrendogli l’incarico di cappellano della propria banda. E non era certo un sosia quello che, travestito da Cappuccino, giunse a San Giovani Rotondo. Era Turiddu. Possibile? «Di questo, in famiglia se ne parlava spesso», sostiene Giuseppe Sciortino Giuliano, nipote del bandito. Due accreditati studiosi come Giuseppe Casarrubea e Mario J. Cereghino, che da anni si occupano di rapporti tra mafia e politica hanno consultato migliaia di documenti desecretati negli archivi americani e londinesi e sono giunti alla conclusione che il corpo senza vita fatto trovare nel cortile De Maria non era quello di Salvatore Giuliano, ma di un suo sosia. Una messinscena per «proteggere » l’espatrio clandestino di Turiddu negli Usa per evitare che in Italia potesse svelare segreti inconfessabili sugli apparati statali. E non deve trattarsi di una semplice ipotesi di studio, quella di Casarrubea e Cereghino, visto che la stessa Procura di Palermo ha aperto il fascicolo a seguito di una formale segnalazione fatta dai due al questore palermitano e poi giunta nelle mani del procuratore aggiunto, Antonio Ingroia. La polizia scientifica sta quindi lavorando su alcune foto che, dieci anni, fa sono state rinvenute in un archivio privato dal giornalista della Rai Franco Cuozzo. Quelle foto ritraggono il cadavere del bandito di Montelepre nel cortile di de Maria e poi quando viene portato all’obitorio. Tra quelle immagini ci sarebbero delle discrepanze; le stesse sulle quali sta lavorando il prof. Alberto Bellocco, docente di Medicina legale alla Cattolica di Milano, che è stato già sentito dai magistrati. Gli stessi magistrati che, se potessero – conclude la Gazzetta del Mezzogiorno – ascolterebbero, come persona informata dei fatti, nientemeno che Padre Pio.

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