Operazione Anno Zero, in manette 21 fedelissimi del superlatitante Matteo Messina Denaro (Video)

Per i suoi fedelissimi la primula rossa di Cosa Nostra è “come un santo, come Padre Pio“. Così parla uno dei mafiosi fermati nell’operazione antimafia che ha colpito la rete di relazioni, criminali ed economiche, legate al boss superlatitante Matteo Messina Denaro. È una delle intercettazioni captate dalle microspie della Direzione distrettuale antimafia di Palermo nell’ambito dell’indagine Anno zero. L’inchiesta che ha portato al fermo di 21 tra boss e fiancheggiatori di Messina Denaro, e ha consentito di individuare la rete di smistamento dei pizzini con i quali il capo di Cosa Nostra, latitante dal 1993, dava gli ordini agli affiliati. Ascoltando le conversazioni tra i fermati si sentono le frasi sul piccolo Giuseppe Di Matteo – “Bimbo sciolto nell’acido? Ha fatto bene” – e si scopre pure che Messina Denaro “era in Calabria ed è tornato”. In manette sono finiti anche due cognati del boss : Gaspare Como e Rosario Allegra, i mariti di Bice e Giovanna Messina Denaro. Secondo gli inquirenti, sono stati proprio loro ad organizzare la latitanza di Messina Denaro cominciata 25 anni fa. Allegra, inoltre, avrebbe fatto da tramite con un imprenditore del settore delle scommesse on line arrestato con l’accusa di avere finanziato la cosca di Castelvetrano. Le accuse nei confronti dei 21 indagati sono, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento, detenzione di armi e intestazione fittizia di beni. Tutti reati aggravati dalle modalità mafiose. Sono ritenuti affiliati alle famiglie mafiose di Castelvetrano, Campobello di Mazara e Partanna. Gli arresti sono stati eseguiti da carabinieri, polizia e uomini della direzione investigativa antimafia. Le indagini sono state coordinate dall’aggiunto Paolo Guido e dal pool di pm composto da Claudio Camilleri, Gianluca De Leo, Francesca Dessì, Geri Ferrara, Carlo Marzella e Alessia Sinatra. Secondo gli inquirenti, l’inchiesta ha confermato sia il ruolo di vertice del boss nella provincia di Trapani, sia quello del cognato, reggente del mandamento di Castelvetrano in seguito all’arresto di altri familiari. Pedinamenti, appostamenti e intercettazioni hanno ribadito come Cosa nostra eserciti un controllo capillare del territorio e ricorra sistematicamente alle intimidazioni per infiltrare il tessuto economico e sociale. Dalle indagini è emerso che c’era il rischio che qualcuno fuggisse e che scoppiasse una guerra di mafia, ragion per cui gli investigatori hanno deciso di intervenire con un fermo urgente. L’inchiesta avrebbe confermato, inoltre, la recente presenza in Sicilia del boss latitante Matteo Messina Denaro, così come già emerso in una intercettazione ce coinvolgeva i boss di Marsala mentre erano riuniti in una cava. Un’altra conversazione intercettata, invece, rivela che Messina Denaro sarebbe stato pure in Calabria dove avrebbe incontrato “cristiani”. Sono in due a parlare, commentando il contenuto di un pizzino in cui ci sarebbero state scritte le decisioni del latitante su alcuni temi. Il biglietto non è stato trovato dagli inquirenti che intercettavano il dialogo: Messina Denaro ha ordinato ai suoi di distruggere sempre i pizzini. Dalla conversazione viene fuori pure che la madre di Messina Denaro si lamenta dell’assenza del figlio.

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