San Giuseppe Jato, Processo Pionica: tornano in libertà i titolari della Vieffe

Tornano in libertà i due titolari della società agricola «Vieffe». Leonardo Ficarotta, 39 anni, ed il cugino quarantunenne Paolo Vivirito sono stati assolti dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Dal 2018 erano agli arresti domiciliari perché accusati di aver preso parte ad una compravendita per finanziare la cosca guidata da Matteo Messina Denaro. È stato invece condannato ad 8 anni di reclusione il sessantottenne Ciro Gino Ficarotta, padre di Leonardo, zio di Vivirito e «socio occulto» dell’azienda agricola. I tre jatini erano imputati nel processo legato all’operazione «Pionica», che nel marzo 2018 portò all’ar – resto di dodici persone tra le province di Trapani e Palermo. La sezione penale del Tribunale di Marsala due giorni fa ha inflitto oltre 57 anni di carcere a sei degli otto imputati. Oltre a Ficarotta, sono stati condannati Salvatore Crimi, Michele Gucciardi, Gaspare Salvatore Gucciardi, Crocetta Anna Maria Asaro e Leonardo «Nanà» Crimi. Per altri otto imputati, che hanno scelto il rito abbreviato, si è invece in attesa della sentenza della corte d’Appello di Palermo. Per Leonardo Ficarotta e Paolo Vivirito erano stati chiesti 12 anni di carcere. Per Ciro Gino Ficarotta la richiesta dei Pm Gianluca De Leo e Giacomo Brandini era stata invece di 13 anni. A difendere i tre imputati di San Giuseppe Jato c’erano gli avvocati Liborio Maurizio Costanza e Maria Paola Polizzi. Che sono riusciti a fare decadere in primo grado l’accusa per i due cugini titolari del marchio vinicolo «Tenuta Donardo». I due sono stati assolti dal collegio giudicante del Tribunale di Marsala, presieduto da Alessandra Camassa, con la formula «il fatto non costituisce reato». Per le motivazioni bisognerà attendere. Durante il lungo processo sembra non siano emerse prove in grado di dimostrare che i due si fossero prestati ad un accordo per favorire Cosa nostra. È stato invece condannato per concorso esterno Ciro Gino Ficarotta, ritenuto fulcro e finanziatore dell’azienda di famiglia. L’ex elettrauto jatino, oggi in pensione, nel 1998 venne arrestato perché era ritenuto vicino all’allora boss Giovanni Brusca. Ma dopo una prima condanna a 4 anni, nel 2001 fu assolto dalla Corte d’Appello. Adesso, secondo l’accusa e in base alle intercettazioni, avrebbe tenuto i contatti con i presunti esponenti della cosca t rapanese. I fatti contestati riguardavano –in – fatti- l’acquisto e la gestione di 60 ettari di vigneto in contrada Pionica a Santa Ninfa. La tenuta, un tempo di proprietà dei cugini Antonio e Giuseppa Salvo, nel 2012 fu acquistata all’asta per 138 mila euro da Roberto Nicastri. Poco dopo i terreni furono però rivenduti per 750 mila euro alla società agricola «Vieffe» di San Giuseppe Jato. Di proprietà dei cugini Ficarotta e Vivirito. Che beneficiarono così di 520 mila euro di finanziamenti comunitari per il reimpianto di un vigneto. L’operazione sarebbe servita, secondo l’accusa, per finanziare la cosca guidata da Matteo Messina Denaro.

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