Strage via d’Amelio, i figli di Borsellino parte civile contro tre poliziotti accusati di depistaggio

Tre uomini dello Stato sono stati chiamati per la prima volta in causa dalla procura di Caltanissetta per il “depistaggio” sulla strage Borsellino. Si tratta del funzionario Mario Bo’ e degli ispettori Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, tutti accusati in concorso di calunnia.

Così come scrive il quotidiano La Repubblica, “i figli di Paolo Borsellino hanno chiesto di costituirsi parte civile contro di loro. “Seguiremo ogni sviluppo processuale della vicenda – dice Fiammetta Borsellino – saremo impegnati in prima persona per dare un contributo all’accertamento della verità. Ma siamo qui anche per solidarizzare con chi, come la procura di Caltanissetta e non altri, sta cercando di venire a capo di questa matassa, che purtroppo rimane gravemente compromessa proprio a causa del depistaggio. “Oggi – ha aggiunto la figlia di Paolo Borsellino – in questa aula lo Stato non c’è. Né la presidenza del Consiglio, né il ministero dell’Interno o della Giustizia hanno chiesto di costituirsi parte civile contro chi ha tradito le istituzioni. E questo mi amareggia molto”.

Chiedono di costituirsi parte civile anche Salvatore Borsellino, il fratello di Paolo, e i figli di Adele Borsellino, la sorella del magistrato ucciso dalla mafia il 19 luglio del 1992. Il giudice li ha ammessi nel processo.

Chiedono tutti verità sul depistaggio, così come il presidente della commissione regionale antimafia Claudio Fava, che questa mattina si è presentato in aula riferendo di stare conducendo una propria indagine sul depistaggio istituzionale.

Il sostituto procuratore Stefano Luciani e il procuratore aggiunto Gabriele Paci chiedono che i tre poliziotti vengano rinviati a giudizio. Contro Bo’, Mattei e Ribaudo si sono costituiti parte civile anche i mafiosi accusati ingiustamente per la strage di via D’Amelio: Cosimo Vernengo, Giuseppe La Mattina, Gaetano Murana, Gaetano Scotto e Natale Gambino, assistiti dagli avvocati Rosalba Di Gregorio, Pino Scozzola e Giuseppe D’Acquì. Hanno anche citato in giudizio, come “responsabili civili”, la presidenza del Consiglio dei ministri e il ministero dell’Interno. A loro chiedono un maxi risarcimento, 50 milioni di euro.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Hide picture