Operazione Cemento del Golfo, 5 arresti per mafia e cemento tra Alcamo e Castellammare (Le foto degli arrestati)

Nel quadro delle attività investigative finalizzate alla ricerca di Matteo Messina Denaro ed al depotenziamento del sistema economico-imprenditoriale riconducibile a Cosa Nostra nel trapanese, oltre 100 militari della compagnia di Alcamo e del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Trapani, alle prime luci dell’alba, hanno messo le manette ai polsi a Mariano Saracino, 69 anni, ritenuto il capo della famiglia mafiosa di Castellammare del Golfo e ad altri quattro affiliati, Vito Turriciano 70 anni, Vito Badalucco 60 anni, Martino Badalucco di 35 anni e Vincenzo Artale di 64 anni. Tutti sono accusati a vario titolo di associazione a delinquere di tipo mafioso, estorsione aggravata, intestazione fittizia aggravata, furto e violazione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno.

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Il meticoloso lavoro investigativo, condotto dalla Compagnia dei Carabinieri di Alcamo e diretto dalla DDA di Palermo a partire dal gennaio 2013, ha visto due anni di complesse attività d’indagine che hanno permesso di far emergere l’attuale organigramma mafioso della cupola castellammarese operante in uno degli storici territori controllati da Cosa Nostra trapanese.

Il tutto è maturato a seguito della recrudescenza di numerosi attentati incendiari che, alla fine del 2012, vennero perpetrati ai danni di imprenditori edili della zona.

Per gli investigatori è stato semplice comprendere come i danneggiamenti subiti da mezzi e veicoli di imprese edili e di movimento terra, si collocassero in un contesto mafioso legato alla famiglia di Castellammare del Golfo che, fa parte del mandamento di Alcamo e che, vede al vertice Mariano Saracino, da sempre legato alla famiglia alcamese dei Melodia.

In particolare, le indagini, si concentrarono su un gruppo di soggetti che, attraverso condotte riconducibili alle modalità operative di Cosa Nostra, imponevano la fornitura di calcestruzzo a diversi imprenditori impegnati in lavori privati o in opere pubbliche.

I carabinieri hanno dimostrato la volontà della famiglia mafiosa di Castellammare del Golfo di favorire Vincenzo Artale che opera nel settore del calcestruzzo, per garantire allo stesso una posizione di forza all’interno del mercato.

I sodali, infatti, costringevano con pressioni ed intimidazioni i committenti di lavori privati o le ditte appaltatrici a rifornirsi di cemento dallo stesso imprenditore che, grazie alla posizione acquisita riusciva ad aggiudicarsi tutte le maggiori forniture nei lavori in zona.

Così, Vincenzo Artale, piccolo padroncino di Alcamo, proprietario di una betoniera, improvvisamente sarebbe diventato il ras del cemento nella provincia di Trapani.

E’ l’ennesimo simbolo dell’antimafia che finisce nel ciclone di un’inchiesta giudiziaria. Vincenzo Artale, infatti, aveva denunciato per davvero delle richieste di pizzo, ma gli autori erano dei piccoli mafiosi. Quale migliore occasione per accreditarsi come imprenditore coraggio, non perdeva occasione per ribadire il suo credo di sincero antimafioso durante convegni e manifestazioni. Nel maggio scorso, era stato eletto nel collegio dei probiviri dell’associazione antiracket di Alcamo. E intanto continuava a sviluppare affari con i mafiosi.

Il suo cemento veniva imposto per lavori pubblici e privati; sarebbe stato utilizzato pure per le opere di ristrutturazione del viadotto Cavaseno di Alcamo, lungo la Palermo-Mazara del Vallo. Chi si rifiutava di utilizzare il cemento dei boss, subiva intimidazioni e minacce.

Diversi, sono stati infatti, gli episodi estorsivi, anche con il classico metodo della messa a posto, accertati nel corso dell’indagine, alcuni dei quali rilevati anche con la collaborazione delle vittime.

Nel corso dell’operazione è stata sequestrata inoltre l’azienda “SP Carburanti s.r.l.”, con sede legale a Castellammare del Golfo, considerata fittiziamente intestata a prestanome, ma riconducibile alla famiglia mafiosa locale.

L’indagine è stata coordinata dai sostituti Francesco Grassi e Gianluca De Leo.

E’ una storia emblematica, questa – ha detto in conferenza stampa il procuratore aggiunto Teresa Principato, impegnata nelle indagini per la ricerca del superlatitante della provincia di Trapani, Matteo Messina Denaro – ancora una volta le intercettazioni hanno svelato che l’antimafia di maniera può diventare uno schermo perfetto per mascherare scalate imprenditoriali all’ombra della mafia”.

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