Operaio della Valle Jato colpito per errore dalla mafia, dopo 30 anni risarcito dallo Stato
Rimase vivo per miracolo e perse quasi del tutto la vista in un agguato mafioso in cui finì solo per sbaglio. Dopo circa 30 anni di sofferenze, non solo fisiche, ma anche morali poiché sospettato di appartenere a Cosa Nostra, l’allora operaio di un’azienda agricola di San Giuseppe Jato ha adesso ottenuto un maxi risarcimento di 2 milioni 750 mila euro da parte dello Stato, attraverso il fondo di rotazione previsto in favore delle vittime di Cosa Nostra.
A pronunciare la sentenza sono stati i giudici del tribunale civile di Palermo, che ha accolto il ricorso presentato dalla vittima incolpevole di mafia. I fatti risalgono alla fine degli anni 80. L’uomo, che allora aveva poco più che vent’anni, voleva andare a prendere la fidanzata straniera in arrivo a Punta Raisi con una macchina più dignitosa rispetto alla propria utilitaria, così decise di chiedere al principale se gli potesse prestare la sua Fiat Argenta che, non gli venne negata; ma quel favore ottenuto cambiò profondamente la sua esistenza e quella del titolare dell’azienda che si salvò dall’attentato che Cosa Nostra gli tese per non avere pagato il pizzo.
I killer sapevano di dover colpire il conducente della Fiat Argenta che, pensavano, fosse l’imprenditore agricolo. Quel giorno, però, alla guida non c’era lui, ma il suo operaio che ricevette l’auto in prestito per andare a prendere, l’indomani, la ragazza all’aeroporto di Punta Raisi. Giunto in una strettoia, venne fermato da alcuni uomini. Sulle prime pensò ad un incidente, poi a un tentativo di rapinargli l’auto non sua, invece erano i sicari che gli spararono addosso una raffica di colpi, centrandolo miracolosamente in aree non vitali del corpo.
L’uomo si salvò ma dovette affrontare anni di lunghissime cure, di interventi chirurgici, la quasi totale perdita della vista e tante umiliazioni poiché sospettato di essere mafioso. Fu grazie alle rivelazioni del pentito Giovanni Brusca, ex boss di San Giuseppe Jato che, alla fine degli anni 90, decise di svuotare il sacco, chiarendo ai magistrati la dinamica di quell’agguato.
Il collaboratore di Giustizia ha riferito ai giudici che l’uomo ferito era del tutto estraneo a Cosa Nostra e che il vero obiettivo dell’esecuzione era il suo principale, sfuggito al gruppo di fuoco solo per caso. Si è trattato, quindi, di un gravissimo errore. La vittima incolpevole di mafia, di cui non vengono rese note le generalità per tutelare la sua attuale esistenza, oggi è vicino alla sessantina, vive in un paese della Valle Jato, è sposato, ha figli, ma porta ancora i segni di quel che gli accadde quel terribile giorno in cui rimase vivo solo per un miracolo. Ristabilita la verità, adesso arriva il risarcimento danni da parte dello Stato.