Cade l’accusa di assenteismo, assolto dipendente dell’Ato 1
Finito nei guai con l’accusa di essere un assenteista, è stato assolto. Vincenzo De Luca, 61 anni, di Giardinello, dipendente dell’Ato Palermo 1, esce a testa alta dal processo che lo vedeva incolpato di truffa aggravata. Il giudice monocratico della quinta sezione del Tribunale di Palermo, Rossana Guzzo, lo ha assolto con la formula “perché il fatto non sussiste”.
La vicenda risale al 2010 a seguito di una denuncia sporta al Commissariato di Polizia di Partinico con la quale si segnalava che, il De Luca, nelle ore in cui doveva essere in servizio, se ne andava in giro per faccende private e che le sue uscite non erano registrate. I poliziotti fecero un blitz contestandogli di non essere sul posto di lavoro.
In realtà l’uomo, difeso dall’avvocato Angelo Coppolino, non si è mai assentato dal servizio in maniera arbitraria. Il legale ad esito dell’istruttoria dibattimentale ha dimostrato, infatti, che il dipendente usufruiva di permessi regolarmente autorizzati dal datore di lavoro e che, pertanto, mancavano i presupposti per configurare il reato per cui era stato accusato. Cosicché, Il Tribunale, ribaltata la tesi dell’accusa, ha riconosciuto la totale estraneità dell’uomo ai fatti contestati.
“Finalmente – dice l’avvocato Coppolino – è stata restituita l’onorabilità al mio cliente che da questa vicenda ha subito, ancor prima che si celebrasse il processo, una condanna morale e un danno d’immagine amplificato da una plateale gogna mediatica”. Il legale poi aggiunge: “Il signor De Luca è stato privato per cinque lunghi anni della serenità familiare e lavorativa con un’accusa risultata del tutto infondata. Questa sentenza come tante altre dello stesso tenore deve fare riflettere sul fatto che si deve sempre attendere il corso della giustizia e non esprimere giudizi avventati come spesso accade anche sulla base di una semplice informazione di garanzia. L’accusa – prosegue – è una ipotesi che deve sempre essere vagliata da un giudice nel confronto dialettico delle parti in seno al processo. Purtroppo si è invece diffusa l’idea secondo cui il sospetto è l’anticamera della verità. In uno Stato di diritto come il nostro deve vigere sempre, invece, la presunzione di innocenza sino a sentenza definitiva”. (di Enrico Calagna)