Mafia, colpo al clan di Bagheria: 8 arresti con l’operazione Persefone

Era in programma un omicidio a Bagheria, da sempre da sempre roccaforte di cosa nostra dai tempi del boss corleonese Bernardo Provenzano. Bisognava uccidere un uomo che nonostante fosse stato pestato da un commando, aveva continuato a sfidare i vertici mafiosi non rispettando le regole che vigono all’interno dell’organizzazione criminale. E così i carabinieri del comando provinciale di Palermo hanno eseguito un provvedimento di fermo di indiziato di delitto emesso dalla direzione distrettuale antimafia di Palermo nei confronti di 8 indagati, ritenuti a vario titolo responsabili di associazione per delinquere di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, detenzione e vendita di armi clandestine, estorsione, lesioni personali aggravate, maltrattamenti in famiglia, reati tutti aggravati dal metodo e dalle modalità mafiose. Con l’operazione Persefone i militari, coordinati da un pool di magistrati con a capo il procuratore aggiunto Salvatore De Luca, hanno assestato un colpo alla famiglia mafiosa di Bagheria. I carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale attraverso intercettazioni ambientali, telefoniche, telematiche e veicolari hanno delineato il nuovo organigramma.   I militari sono riusciti a ricostruire gli interessi dell’organizzazione nel traffico e spaccio di stupefacenti, nella gestione dei centri scommesse e nelle estorsioni. Nel corso delle indagini è stato accertato che il capo della famiglia mafiosa aveva disponibilità di armi ed è stato individuato un imprenditore edile, ritenuto storico prestanome dei vertici della famiglia mafiosa. Accertato il passaggio del comando della famiglia di Bagheria da Onofrio Catalano (detto ‘Gino’) con il placet dell’allora capo mandamento Francesco Colletti, arrestato nell’operazione Cupola 2.0 e ora collaboratore di giustizia, a Massimiliano Ficano, ritenuto più autorevole e che aveva l’appoggio e il forte legame con il capomafia ergastolano Onofrio Morreale. Ficano si vantava delle sue nobili origine, aveva scontato una condanna definitiva per associazione mafiosa e approfittando del vuoto aveva preso il comando anche con metodi violenti.  Massimiliano Ficano che diceva di essere stato iniziato nell’ organizzazione dai boss più vicini a Bernardo Provenzano di cui tutelò anche la latitanza,  per il controllo del territorio poteva contare sugli indagati Gino Catalano, Bartolomeo Scaduto, Giuseppe Cannata, Salvatore D’Acquisto, Giuseppe Sanzone e Carmelo Fricano, tutti finiti in manette.

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