Carini, lupare bianche:chiesto l’ergastolo per 4 mafiosi

  Il pm Amelia Luise, davanti la seconda sezione della corte d’assise presieduta da Alfredo Montalto, a latere Giulia Malaponte,  ha chiesto la condanna all’ergastolo per i boss di Carini e Torretta che si sono macchiati di efferati delitti commessi con il metodo della lupara bianca. Si tratta, così come scrive il Giornale di Sicilia, dei fratelli Giovan Battista e Vincenzo Pipitone, di 70 e 63 anni, di Salvatore Cataldo, 60 anni, e di Antonino Di Maggio, di 65 anni. Vincenzo Pipitone risponde degli omicidi di Antonino Failla e Giuseppe Mazzamuto, scomparsi e mai più ritrovati il 16 dicembre 1999; di Giampiero Tocco, anche lui inghiottito nel nulla il 26 ottobre 2000; e di Francesco Giambanco, il cui cadavere bruciato venne invece ritrovato nel gennaio 2001, tre settimane dopo la scomparsa del 16 dicembre del 2000. Giovan Battista Pipitone, padre di Antonino, il pentito che accusa lui e il proprio zio, Vincenzo, è imputato per tre degli delitti, tranne quello di Giambanco. Mentre Cataldo e Di Maggio rispondono solo dell’omicidio  di Failla e Mazzamuto. Secondo l’accusa, si trattò di punizioni esemplari per altri omicidi decisi dalle famiglie mafiose di Carini e Torretta, all’epoca legate al clan dei Lo Piccolo di Tommaso Natale. Francesco Giambanco, ad esempio,  era sospettato all’interno dell’organizzazione di avere contribuito alla lupara bianca di Federico Davì: i due si odiavano per il legame da parte di Giambanco con la ex di Davì. La sparizione di quest’ultimo avrebbe  «risollevato» Giambanco, che   nello stesso periodo, era pure sospettato di una serie di incendi avvenuti a Carini. In uno di questi casi erano stati bruciati un escavatore e un camion di Giovanni Cataldo, fratello di Salvatore, morto suicida in carcere nel 2008 dopo che si era saputo del pentimento di Gaspare Pulizzi. Le dichiarazioni di quest’ultimo non bastavano per inchiodare i responsabili ed 8 anni dopo, nel 2016, a fornire i necessari riscontri incrociati ci pensò il pentito Nino Pipitone.  Giovanni Cataldo avrebbe attirato in trappola  Giambanco , preso a bastonate e ucciso nel giro di pochi istanti, mentre  altri lo tenevano.  Il suo cadavere fu poi ritrovato bruciato dentro la sua auto. Failla e Mazzamuto,  responsabili di un incendio che aveva danneggiato un supermercato Conad e di altre azioni contro Totò Cataldo furono sepolti invece dentro la Fiat Uno con cui erano andati all’appuntamento con la morte: la stessa auto venne schiacciata e finì sotto terra e, ad oggi, non è ancora stata ritrovata. A ucciderli materialmente, con una roncola, fu Angelo Conigliaro, poi deceduto. Infine Giampiero Tocco, sarebbe stato punito perché ritenuto coinvolto nell’omicidio di Giuseppe Di Maggio, figlio del boss di Cinisi, Procopio. Scomparso il 14 settembre del 2000, venne ritrovato cadavere nove giorni dopo. Il 26 ottobre Tocco fu rapito davanti alla propria figlia di sei anni, che poi parlò dei falsi poliziotti che avevano portato via il papà.  Per il delitto Tocco c’erano state altre condanne, quelle dei boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo e di Damiano Mazzola (definitivo il carcere a vita), mentre Salvatore Gregoli, detto il Rullo, aveva avuto 30 anni in primo grado, in abbreviato, ed è stato assolto in appello.

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