San Giuseppe Jato, sequestrati beni riconducibili al boss ergastolano Ignazio Pullarà

Confiscati dai carabinieri del Ros beni
per 1,6 milioni a Ignazio Pullarà, 73enne di San Giuseppe Jato, esponente di
spicco della cosca di Santa Maria di Gesù, di cui in passato è stato anche
reggente, oggi detenuto dopo la condanna all’ergastolo per omicidio. Il
provvedimento evidenzia la pericolosità dell’uomo anche durante la detenzione,
alla luce della documentata possibilità di incidere nelle dinamiche economiche
del gruppo mafioso e di vedere tuttora riconosciuto il proprio sostentamento in
carcere e quello dei familiari. Dal carcere dove stava scontando l’ergastolo, il boss Ignazio Pullarà continuava a gestire
gli affari di famiglia attraverso il figlio Santi e due prestanome i fratelli
Antonio e Salvatore Macaluso. E’ quanto sostengono gli investigatori che hanno
chiesto ed ottenuto il sequestro dei beni intestati ai Macaluso per evidente
pericolosità sociale dei reali proprietari ovvero i Pullarà e per sproporzione
fra reddito dichiarato e consistenza patrimoniale. I Carabinieri del Ros hanno,
dunque, dato esecuzione a un decreto di confisca, emesso, su richiesta della
Procura Distrettuale Antimafia, dal Tribunale di Palermo – Sezione Misure di
Prevenzione proprio nei confronti di Pullarà. Si tratta di un esponente di
assoluto spessore della famiglia mafiosa di Palermo – Santa Maria di Gesù,
di cui in passato è stato anche reggente. Lo spiccato profilo criminale di
Pullarà è emerso anche dal suo coinvolgimento nelle complesse e sanguinose
vicende che condussero negli anni ’80 all’eliminazione degli storici capimafia
palermitani e dei soggetti a loro vicini e, dunque, all’avvicendarsi al potere
della cd. ala corleonese a cui si associarono gli esponenti delle articolazioni
mafiose palermitane, i quali trovarono così modo di affermarsi dopo il vuoto di
potere derivato dalle cd. guerre di mafia.
Il provvedimento di confisca avrebbe evidenziato che la pericolosità di Pullarà
non solo “deve certamente individuarsi come risalente ad un’epoca ancor
precedente alle prime condotte per cui è stato condannato, ma deve anche
ritenersi conservata sia durante lo stato di pluriennale latitanza, cessata ad
inizio degli anni ’90, e sia pure nel corso della successiva detenzione, alla
luce della documentata e perdurante possibilità di incidere nelle dinamiche
economiche del sodalizio mafioso e di vedere tuttora riconosciuto il proprio
sostentamento in carcere e quello dei familiari”.