Teste in aula “smonterebbe” accusa di estorsione nei confronti dell’imputato monteleprino Giuseppe Di Bella

Le dichiarazioni in aula di un testimone, smonterebbero l’accusa di estorsione, aggravata dall’aver favorito Cosa Nostra che, assieme ad altri capi di imputazione portò alla condanna in primo grado, a 14 anni di reclusione, nei confronti del monteleprino Giuseppe Di Bella, finito in manette nel dicembre del 2010 nell’ambito dell’operazione Addio Pizzo 5.

Il teste, sentito dalla Corte d’Appello dove si sta celebrando il procedimento giudiziario di secondo grado, secondo la Procura sarebbe stato vittima di estorsione; invece, in aula, avrebbe dichiarato di non avere mai ricevuto richieste di pizzo e di non avere mai subito danneggiamenti.

L’uomo che avrebbe negato ogni richiesta di messa a posto, nel 2007, periodo in cui sarebbero avvenuti i fatti, era direttore del cantiere per la realizzazione della rete fognaria di Capaci.

Contro l’imputato, già condannato in primo grado, ci sarebbe soltanto un pizzino ritrovato nel covo di Giardinello, dove, alla fine del 2007 vennero catturati i boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo. Nello stesso si leggeva che una persona avrebbe dovuto “portare i soldi”, facendo esplicito riferimento al cognome della presunta vittima. Da qui la contestazione per Di Bella di estorsione.

In tutti questi anni, però, così come rimarcato dai difensori dell’imputato, “a nessuno è venuto in mente di sentire la presunta vittima per trovare un riscontro all’accusa”. Ragion per cui la Corte d’Appello ha deciso di sentire il testimone che, in udienza, avrebbe negato di aver ricevuto richieste di denaro o di aver subito danneggiamenti.

Dichiarazioni – secondo quanto riportato oggi dal Giornale di Sicilia – che avrebbero convinto la Corte d’Appello che, a differenza di altri casi, non avrebbe ammonito o invitato il teste a dire la verità per non rischiare di essere accusato di falsa testimonianza.

Inoltre, l’azienda che stava eseguendo i lavori della rete fognaria di Capaci, dopo un sequestro, operava in regime di amministrazione giudiziaria e, agli atti, non risulterebbe nemmeno alcuna denuncia, su eventuali pressioni subite, da parte dell’amministratore nominato della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo.

FONTE GIORNALE DI SICILIA

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