Operazione Iago, la dda scongiura una nuova guerra di mafia

Sono otto le persone finite in manette nel corso dell’operazione della Direzione distrettuale Antimafia di Palermo che ha azzerato i vertici del mandamento mafioso di Porta Nuova, pronti a scatenare una faida dopo l’omicidio di Giuseppe Di Giacomo. Gli arresti sono scattati per Marcello Di Giacomo, 46 anni, Vittorio Emanuele Lipari, 53 anni, Onofrio Lipari detto Tony, 24 anni, Nunzio Milano, 55 anni, Stefano Comandè, 28 anni, Francesco Zizza, 32 anni, Salvatore Gioeli, 47 anni e Tommaso Lo Presti di 39. Dal carcere, l’ergastolano Giovanni Di Giacomo aveva dato l’ordine al fratello Giuseppe, ucciso lo scorso 12 marzo, di ammazzare alcuni esponenti mafiosi che si stavano organizzando dopo l’arresto del boss di Porta Nuova Alessandro D’Ambrogio. Tra i delitti già programmati quello di Luigi Salerno, Giuseppe Dainotti e dei fratelli Onofrio ed Emanuele Lipari. “Per questo è stato necessario intervenire – ha spiegato Pierangelo Iannotti comandante provinciale dei Carabinieri di Palermo – Abbiamo dovuto eseguire i provvedimenti di fermo perché l’ordine partito dal carcere era esecutivo. Non c’era tempo da perdere”. E la scorsa notte gli otto, ritenuti affiliati al mandamento di Porta Nuova, sono finiti in manette. Le indagini sono state coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, Procuratore Capo Francesco Messineo, Aggiunto Leonardo Agueci, e i sostituti Francesca Mazzocco e Caterina Malagoli. Due giorni fa, Giovanni Di Giacomo ha ricevuto un telegramma in carcere dal fratello Marcello: “Caro Gianni la salute del bambino tutto bene in unico abbraccio ti vogliamo bene”. Un messaggio che secondo i carabinieri, altro non era che la comunicazione dell’imminente esecuzione del piano di morte. Dopo l’arresto di Alessandro D’Ambrogio, leader del mandamento di Porta Nuova, Di Giacomo aveva scalato le posizioni di potere forte della parentela con il fratello, killer ergastolano del gruppo di fuoco di Pippo Calò. Giuseppe Di Giacomo nei mesi della reggenza non aveva mai fatto venire meno il suo impegno. Eppure erano nati malumori, talmente forti che a metà marzo è stato assassinato in via Eugenio l’Emiro alla Zisa. Giovanni e Marcello Lipari iniziarono a sospettare. Non gli era piaciuto l’atteggiamento dei Lipari, ritenuto “troppo distante”. I Lipari, padre e figlio, volevano prendersi “il pannello”, e cioè gli incassi delle sale scommesse della vittima. E così scattò la reazione. Giovanni Di Giacomo ordinò al fratello di riferire a Tommaso Lo Presti, che nel frattempo era tornato a comandare, di uccidere i Lipari: “… si preparano fanno l’appuntamento e mentre c’è il discorso fanno bum bum e s’ammogghia tutto”. Dunque, secondo i Di Giacomo, erano i Lipari gli autori del delitto del fratello. Per un attimo si era sospettato che fosse stato Nunzio Milano. La sua assenza al funerale era stata notata, ma alla fine il boss era stato convincente nelle sue giustificazioni. I Lipari non erano gli unici a dovere essere uccisi. Un’altra condanna a morte pesava sul capo di Luigi Salerno il cui omicidio doveva servire da esempio per tutti. Era stato un egoista e i fratelli Di Giacomo, Giovanni e Giuseppe, lo volevano morto affinché tutti si rendessero conto che dopo l’arresto di Alessandro D’Ambrogio il nuovo corso sarebbe stato più autoritario.

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