Montelepre. Omicidio Licari, convalidato il fermo di Antonino Muratore

Il gip Piergiorgio Morosini ha convalidato il fermo di Antonino Muratore ed ha disposto la custodia cautelare in carcere. Il 76enne residente a Borgetto si trova recluso all’Ucciardone di Palermo da lunedì scorso, è accusato di essere uno dei presunti killer di Baldassare Licari, l’ex capo cantoniere in pensione di Montelepre, ucciso a colpi di pistola il 4 novembre del 2013. Il corpo senza vita del 64enne fu trovato su una Fiat 600, parcheggiata a pochi metri dalla sua casa di campagna in contrada Iazzo Vecchio. A Muratore, la polizia del commissariato di Partinico è arrivata dopo 8 mesi di indagini, l’arresto lunedì pomeriggio, dopo il fermo disposto dal procuratore aggiunto Claudio Corselli e dai sostituti Dario Scaletta e Claudio De Lazzaro. La scientifica è riuscita a determinare il profilo genetico dell’indagato dall’esame delle tracce biologiche depositate su una tazzina da caffè, che sarebbero compatibili con quelle trovate sulla scena dell’omicidio. Antonino Muratore durante l’interrogatorio ha negato ogni coinvolgimento, si è persino sorpreso che ci sia il suo Dna sulla tazzina del caffè trovata in casa della vittima. Di tazzine però sul tavolo ce n’erano tre e ad uccidere Baldassare Licari sono stati almeno in due. Il pensionato è stato colpito dai proiettili di due pistole, una 357 magnum e una calibro 22, come accertato dall’autopsia. Tanti dunque i punti oscuri, a cominciare proprio dalla presenza di almeno un’altra persona sulla scena del crimine. Le indagini infatti proseguono per identificare eventuali complici di Antonio Muratore. Secondo la ricostruzione dell’accusa, l’omicidio sarebbe scaturito per liti condominiali tra Licari e la figlia del sospettato che nel 2008 aveva intentato una causa contro la vittima. Le diatribe giravano attorno al posizionamento di un recipiente per la raccolta dell’acqua che a Licari avrebbe chiesto di togliere. Erano dunque nati dei contenziosi civili e penali tanto che una delle sentenze era prevista per qualche settimana dopo l’omicidio. Sarebbe questo per l’accusa il movente, un’ipotesi che Antonio Muratore smentisce. Durante l’interrogatorio ha affermato “non si può ammazzare un uomo per un recipiente”.

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