San Giuseppe Jato, ricordato Giuseppe Di Matteo nel 24° anniversario del suo omicidio

Comune, Libera ed Acli hanno ricordato ieri Giuseppe Di Matteo, il quindicenne ucciso dalla mafia l’11 gennaio del 1996. «Sono passati 24 anni – ricorda il sindaco Rosario Agostaro –. Le cose sono cambiate, ma tutti sappiamo che c’è ancora molto da fare. La mafia deve essere combattuta a viso scoperto. Tante sono state le vittime. Ma Giuseppe ha pagato un prezzo carissimo. Perché un bambino non doveva fare questa fine». Quest’anno alla deposizione di fiori al Giardino della memoria ha preso parte anche Angelina De Luca, sindaco di Altofonte. «È giusto –ha sottolineato Agostaro – che anche quella comunità prenda parte al ricordo di Giuseppe, che lì viveva e studiava. Per questo il prossimo anno prevediamo anche il coinvolgimento delle scuole di Altofonte». A ricordare la vittima innocente è stato ieri anche il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando: «A 24 anni di distanza non si è spento, né mai si spegnerà il dovere di ricordare Giuseppe Di Matteo, vittima innocente di una barbarie inaccettabile». E per non dimenticare il ragazzino, innamorato dei cavalli, ucciso nelle campagne di contrada Giambascio il Circolo Acli «Progetto Legalità» di San Cipirello ha organizzato la manifestazione «Scalciando per Giuseppe»: un torneo di calcetto per bambini di 10 anni delle scuole calcio di San Cipirello, Borgetto e Corleone. La premiazione si è tenuta in piazza Falcone e Borsellino, dove è stata affissa una mattonella commemorativa. Libera e l’Istituto comprensivo «Riccobono» di San Giuseppe Jato hanno invece partecipato ad un incontro con Antonio Zangara, figlio di vittima di mafia. Di Matteo venne rapito il 23 novembre del ‘93 in un maneggio di Villabate nel tentativo di spingere il padre, il pentito Santino Di Matteo, a ritrattare le informazioni fornite sulla strage di Capaci. Mafiosi, travestiti da agenti della Dia, portarono il ragazzino in un casolare di Misilmeri e da lì iniziò il suo calvario. Tenuto legato e bendato, venne spostato da un covo all’altro nelle province della Sicilia occidentale. Gli ultimi sei mesi, per il venir meno della disponibilità di altri nascondigli, Giuseppe fu portato in contrada Giambascio, dove i Brusca avevano fatto costruire un bunker sotterraneo. Dopo la notizia della condanna all’ergastolo per l’omicidio di Ignazio Salvo, Giovanni Brusca decise di punire il pentito di Altofonte. E diede l’ordine di uccidere quel ragazzino di cui era stato padrino di battesimo. Gli esecutori materiali furono Vincenzo Chiodo, Enzo Brusca e Giuseppe Monticciolo. I tre «uomini d’onore», dopo avere strangolato con una corda il ragazzino, si baciarono, cenarono e dormirono nello stesso letto. Il materasso in cui dormiva il piccolo ostaggio e i suoi indumenti vennero bruciati. La corda rimase per un po’come trofeo. Il corpo di Giuseppe venne invece sciolto dentro un fusto pieno di acido nitrico ed i resti furono sparsi nel terreno che circondava il covo dei mafiosi. Per l’omicidio oltre ai collaboratori di giustizia Giovanni ed Enzo Brusca, Vincenzo Chiodo e Giuseppe Monticciolo, sono stati condannati, in diversi processi, anche Leoluca Bagarella, Gaspare Spatuzza, Matteo Messina Denaro, Angelo Longo, Giuseppe Graviano, Luigi Giacalone, Francesco Giuliano, Salvatore Benigno, Salvatore Bommarito, Salvatore Grigoli, Michele Mercadante e Biagio Montalbano.

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