San Giuseppe Jato, pezzi di anfore antiche in casa, cade l’accusa di ricettazione: assolto

Assolto un cinquantenne jatino dall’accusa di ricettazione. L’uomo conservava in casa reperti archeologici, ma di facile ritrovamento. «Il fatto non costituisce reato», ha stabilito nei giorni scorsi il giudice monocratico Sabrina Argiolas della quinta sezione penale del Tribunale di Palermo. La Valle dello Jato, con la sua storia millenaria, è –infatti- un bacino a cielo aperto. Non è raro dunque che nelle abitazioni private vengano conservati oggetti riaffiorati durante i lavori nei campi. Ma è comunque considerata «ricettazione di reperti archeologici». Un reato che consiste nel possedere illecitamente beni culturali appartenenti allo Stato. Per questo un cinquantenne incensurato ha rischiato una condanna a due anni di reclusione. Aveva in casa, infatti, pesi da telaio, una borchia in bronzo e frammenti di tegole e di anfore . U n’Odissea per lui durata sette anni ed iniziata nel 2012 con una perquisizione domiciliare. I carabinieri cercavano in realtà un calice d’argento del 1700 rubato in parrocchia. Una lettera anonima, inviata all’arciprete, accusava il cinquantenne. Di qui la denuncia del parroco e la successiva perquisizione. Durante i controlli non venne però trovato. I militari notarono invece i reperti archeologici che vennero così sequestrati. E scattò anche la denuncia. «Si trattava di oggetti che appartengono da generazioni alla famiglia del mio assistito», spiega l’avvocato Liborio Maurizio Costanza. In Tribunale è stato sentito anche un archeologo dell’U n ive r s i – tà di Zurigo. «L’esperto – fa sapere il legale – ha confermato che, oltre allo scarso valore, si tratta di oggetti di facile rinvenimento nelle campagne di San Giuseppe Jato e San Cipirello». I reperti sono stati affidati al museo archeologico «Salinas».

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