San Cipirello, il nome Rumore nella relazione di scioglimento: “errore”

«Giuseppe Rumore è totalmente incensurato. Mai sfiorato da indagini di alcuna natura, né tanto meno ha mai avuto contatti con soggetti appartenenti al Comune di San Cipirello». A chiarirlo in una nota è l’avvocato Miria Rizzo, che assiste il settantottenne pensionato di San Giuseppe Jato. Rumore era stato citato in un articolo pubblicato sul Giornale di Sicilia il 18 ottobre scorso. Il suo nome compare, insieme a tanti altri, nel decreto di scioglimento del Consiglio comunale di San Cipirello. Ed è più volte citato nella relazione inviata dalla prefettura di Palermo al ministro degli Interni. «Si tratta di un errore – fa sapere l’avvocato Rizzo – che intendiamo chiarire anche con la Prefettura. Il mio assistito non conosce né il sindaco né i consiglieri comunali di San Cipirello. Non saprebbe nemmeno individuarli perché non abita a San Cipirello e non ha motivi di contatti con loro. Ed è da escludere anche l’ipotesi che possa trattarsi di una omonimia». Il nome di Rumore compare nelle 250 pagine di relazione del ministro dell’Interno, in particolare quando si parla dell’affidamento del micro-nido comunale: un servizio da 410 mila euro finanziato dallo stesso Viminale che ne ha poi scoperto i lati oscuri. Durante l’acceso ispettivo voluto dal prefetto Antonella De Miro è saltata fuori, infatti, «l’illegittimità della procedura di aggiudicazione della gara». Tra le assunzioni fatte dalla cooperativa vincitrice c’erano inoltre alcune donne imparentate con esponenti mafiosi. Tra le persone assunte anche la convivente del figlio di Giuseppe Rumore, che viene indicato nelle relazione prefettizia come «condannato per mafia». La donna è anche nipote dell’ex collaboratore di giustizia Giuseppe La Rosa. Del settantottenne Rumore vengono citati anche una condanna per lesioni personali, una per occultamento e distruzione di documenti contabili e diverse denunce. «Nel casellario giudiziale del mio assistito –assicura invece l’av – vocato Rizzo – non c’è alcuna condanna. Si tratta di un errore».

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