Partinico, incassava lo stipendio senza lavorare, insegnante di religione condannata

Per sette anni, per una serie di errori amministrativi, ha continuato a intascare lo stipendio per lezioni mai tenute in due istituti di Bisacquino e Corleone, nonostante il suo incarico provvisorio da insegnante di religione fosse scaduto. Solo alla vigilia dell’assunzione a tempo indeterminato a Grosseto, ha ritenuto opportuno comunicare “il disguido” che intanto le aveva fruttato 143mila euro. Adesso, la Professoressa Francesca Calandra, originaria di Partinico, è stata condannata dal giudice del tribunale monocratico, a scontare a due anni e mezzo, (pena sospesa).

La vicenda risale al 2003, quando la donna venne assunta come insegnante di religione in due scuole superiori: l’istituto “Don Calogero Di Vincenti” di Bisacquino e il “Don Colletto” di Corleone. In entrambi i casi le venne fatto un contratto di supplenza di un anno. A scadenza del rapporto di lavoro, però, per un errore, gli istituti scolastici non hanno comunicato alla direzione del tesoro la fine dell’incarico: per questo il centro elaborazione servizi che provvede alle erogazioni per i dipendenti della pubblica amministrazione, ha continuato ad erogarle lo stipendio.

Nel luglio del 2011, avendo ottenuto un incarico da insegnante a tempo indeterminato in una scuola di Grosseto, si é presentata alla Ragioneria di Stato di Palermo autodenunciandosi. Alla richiesta di restituire i soldi entro 30 giorni, però, ha risposto di essere disoccupata e di non potere fare fronte al debito in un’unica soluzione. È così scattata nei suoi confronti la denuncia per truffa aggravata.

In questi anni, la Procura, non avendo trovato più il denaro illecitamente percepito sui conti della donna, le ha sequestrato preventivamente quote di case di sua proprietà.

L’insegnante ha sempre sostenuto di non essersi mai accorta dello stipendio intascato perché i soldi finivano su un conto cointestato al marito che ne avrebbe avuto la gestione esclusiva. Ma la tesi non ha convinto gli investigatori che hanno accertato che l’insegnante aveva fatto una serie di operazioni sul conto. Prima di “autodenunciarsi”, inoltre, la donna avrebbe prosciugato il conto con una serie di diversi prelievi.

Secondo l’accusa, il “silenzio malizioso” dell’insegnante, fino al momento dell’autodenuncia, era mirato ad appropriarsi indebitamente delle somme che le sono state indebitamente accreditate nel tempo, per un totale di 82 stipendi, a causa di un errore compiuto dal Ministero che, nella “partita stipendiale” avrebbe inserito un codice sbagliato, quello che normalmente si utilizza per gli assunti a tempo indeterminato.

La donna, in ogni caso, dovrà restituire allo Stato, con gli interessi, gli oltre 143 mila indebitamente percepiti che, in realtà, in questo lasso di tempo avrebbe cercato di rendere, avviando delle trattative con Equitalia per ottenere una dilazione dei pagamenti che, ad oggi, gli sarebbe stata negata.

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