Il pentito di Carini Nino Pipitone svela i retroscena del delitto Tocco

I retroscena, a tratti raccapriccianti, dell’omicidio del macellaio di Terrasini, Giampiero Tocco, sono stati minuziosamente ricostruiti dall’ex boss di Carini, Nino Pipitone, ormai, dallo scorso mese di settembre, collaboratore di giustizia.
Davanti al pubblico ministero Roberto Tartaglia, il pentito ha messo a verbale svariati dettagli risultati utili, agli investigatori, per ricostruire sia i ruoli dei mafiosi coinvolti nella sua esecuzione, che il movente.
Un piano di morte, quello ideato per Giampiero Tocco poiché sospettato, dal boss Salvatore Lo Piccolo, di avere attirato in trappola Giuseppe Di Maggio, figlio del capomafia di Cinisi Procopio, alleato storico di Totò Riina e del capomafia di San Lorenzo.
La scomparsa col metodo della lupara bianca di Peppone Di Maggio, avrebbe innervosito i boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo che ne dispose le ricerche senza alcun risultato. Solo tempo dopo si seppe che il suo corpo senza vita venne ritrovato a Cefalù.
I boss Lo Piccolo, successivamente alla scomparsa di Di Maggio, avrebbero ordinato al commando di indossare uniformi da poliziotti, che sarebbero state fornite dal pentito Gaspare Pulizzi, per prendere portare al proprio cospetto il macellaio di Terrasini, Giampiero Tocco, su cui, finirono i sospetti.
Nino Pipitone ha raccontato che, la sera del rapimento, si trovava alla guida della macchina su cui a bordo c’erano altre due persone di Palermo mai viste prima ed una quarta persona di cui al momento non ricordava il nome. “Tutti – ha dichiarato Pipitone – indossavamo una pettorina della polizia e ricordo anche la presenza di un lampeggiante. La macchina era una Fiat Uno rubata e partimmo dalla casa del cinisaro Vito Palazzolo. Gaspare Pulizzi e Ferdinando Gallina si occupavano di fare la staffetta”.
“Dopo il rapimento di Giampiero Tocco– prosegue Nino Pipitone – “siamo andati a Torretta nell’abitazione di Angelo Mannino, dove oltre lui ad attenderci c’erano pure Salvatore e Sandro Lo Piccolo, i miei zii Vincenzo e Giovan Battista, Angelo Conigliaro, Ferdinando Gallina, Antonino Di Maggio e Gaspare Pulizzi”.

Li, Giampiero Tocco venne legato ad una sedia per essere interrogato dai boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo, davanti ai miei zii Vincenzo e Giovan Battista Pipitone, Damiano Mazzola ed anche i due palermitani che erano stati nella macchina con me”.
Salvatore Lo Piccolo, mostrando la propria autorità alla vittima del rapimento, dopo avergli chiesto se sapesse chi avesse di fronte, alla risposta affermativa di Tocco che aggiunse di “esserne onorato”, il boss gli contestò la partecipazione all’omicidio di Giuseppe Di Maggio. A quel punto, Tocco rispose che la morte del figlio di Don Procopio fosse stata decisa da persone molto in alto. Cosa che fece alterare Salvatore Lo Piccolo, il quale gridò a Tocco “Forse non hai capito che l’alto sono io”.
Subito dopo sarebbe stato strangolato. Il collaboratore di giustizia ha inoltre messo a verbale di essere stato chiamato, dopo un po’ di tempo, dallo zio Giovanbattista Pipitone per dirgli che avrebbe dovuto portare il corpo di Giampiero Tocco in campagna. Compito di cui materialmente si sarebbero occupati Pulizzi e Gallina. Una volta arrivati in campagna alla presenza degli zii del pentito e di Antonino Di Maggio, il cadavere del macellaio di Terrasini sarebbe stato messo in un fusto di acido, dove venne sciolto. A dare una mescolata al contenuto del fusto, di tanto in tanto, sarebbe stato colui che avrebbe pure custodito i suoi effetti personali, ovvero Angelo Conigliaro, nel frattempo deceduto.

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