Partinico. Omicidio Salvia, chiesto rinvio a giudizio per Francesco Autovino

La Procura di Palermo ha chiesto il rinvio a giudizio del partinicese Francesco Autovino, accusato dell’omicidio del 23enne Antonio Salvia, ucciso a coltellate il 23 giugno dello scorso anno. L’udienza preliminare è stata fissata dal gip per il prossimo 2 giugno. Secondo il pubblico Ministero Paolo Guido, sarebbe stato Francesco Autovino a ferire mortalmente il ragazzo, al culmine di una violenta rissa a cui presero parte anche il fratello dell’indagato, Giuseppe Autovino e Gianluca Rizzo, entrambi allora finiti in manette per il reato di rissa aggravata, anche se – così come scrive il quotidiano La Repubblica – la dinamica dell’omicidio sarebbe ancora in via di definizione. Il Pm Paolo Guido, infatti, è in attesa di ulteriori accertamenti tecnici sulle tracce di sangue trovate sul luogo del delitto; elementi che sarebbero utili a chiarire meglio i singoli ruoli che, gli indagati, avrebbero avuto nella lite. Secondo i carabinieri della compagnia di Partinico che guidarono le indagini, a scatenare la furibonda lite sarebbe stato il danneggiamento dell’autovettura di Francesco Autovino, bruciata a Partinico il 13 maggio 2016 e, la sua convinzione che il colpevole fosse stato Gianluca Rizzo. Ciò, avrebbe indotto i fratelli Autovino ad accusarlo pubblicamente, nei bar di Partinico. E così Francesco Salvia, Giancarlo Rizzo e altri due amici risultati poi estranei alla rissa, avrebbero deciso di discutere la faccenda con i fratelli Autovino. Li avrebbero seguiti in auto fino a casa loro, in via Cimabue, per affrontarli. In breve, dalla discussione animata sarebbero passati alle mani, per finire alle coltellate. Francesco Autovino ha ammesso di aver colpito Antonio Salvia, soccorso dai suoi amici, ma ha sostenuto che il coltello era della vittima e che il fendente è partito mentre lui, dopo avere disarmato il 23enne, stava cercando di allontarlo. Una versione che, avrebbe sempre convinto poco gli investigatori, sia per il numero di coltellate inferte alla vittima, che per le ferite profonde effettivamente riscontrate nel suo corpo senza vita.

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