Operazione Grande Passo 4, confermato l’arresto per i 12 indagati

Il tribunale del riesame ha confermato l’arresto per tutti i 12 indagati coinvolti nell’ultima inchiesta sulla mafia del corleonese, denominata operazione Grande Passo 4, accogliendo le motivazioni espresse dai sostituti procuratori Sergio Demontis, Caterina Malagoli, Gaspare Spedale e dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci.

Restano in cella Carmelo Gariffo, nipote di Bernardo Provenzano, uscito dal carcere nel 2014 e, i suoi fedelissimi, l’allevatore Bernardo Saporito, che gli faceva da autista; l’operaio forestale stagionale Vincenzo Coscino, il capo cantoniere Francesco Scianni, il figlio del capomafia Rosario Lo Bue, Leoluca, e Pietro Vaccaro, questi ultimi due allevatori. Nell’ambito della stessa operazione avevano ricevuto un’ordinanza in carcere per estorsione Antonino Di Marco, Vincenzo Pellitteri e Pietro Masaracchia, boss già arrestati qualche mese fa. In carcere pure gli omonimi Francesco Geraci, nipote e figlio di un capomafia deceduto. Tutti sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione e danneggiamento.

Annullato, invece, il provvedimento cautelare della libertà vigilata che era stata imposta a Gaspare e Pietro Gebbia, padre e figlio, il primo residente a Chiusa Sclafani, l’altro a Palazzo Adriano, entrambi proprietari terrieri accusati di avere commissionato una spedizione punitiva nei confronti di un parente; un progetto che sarebbe saltato grazie all’intervento dei carabinieri.

Non si conoscono le motivazioni con cui il Tribunale del Riesame abbia accolto la richiesta avanzata dai legali dei Gebbia. Nell’istanza inoltrata, gli avvocati, avrebbero puntato sul fatto che l’applicazione della libertà vigilata sarebbe dovuta passare dalla valutazione di un altro giudice. Non si esclude, dunque, che la revoca sia la conseguenza di qualche vizio procedurale.

Nel loro caso ci sarebbero stati di mezzo una eredità e un parente scomodo. Secondo l’accusa, Gaspare e Pietro Gebbia, avrebbero deciso di assoldare qualcuno, attraverso Vincenzo Pellitteri e Paolo Masaracchia, considerato il capomafia di Palazzo Adriano, per eliminare un familiare che avrebbe avuto l’intenzione di mettere il naso su un lascito di cui non vi era alcun testamento. Tre mila euro sarebbero stati disposti a pagare.

Dalle intercettazioni sarebbe emerso che l’omicidio, sarebbe dovuto apparire come l’epilogo di una storia di femmine e che sarebbe dovuto avvenire nelle campagne di Contessa Entellina. Ma nel settembre del 2014 Masaracchia venne arrestato e il piano di morte venne fermato.

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