Imprenditore denuncia il pizzo: quattro arresti

Si rompe il muro dell’omertà nel paese che ha dato i natali ai padrini di Cosa nostra. Da Corleone arriva un segnale di riscatto. Un imprenditore denuncia il pizzo e fa arrestare quattro persone. Quei 500 euro al mese erano diventati un incubo. Specie in tempo di crisi. Non sono tanto i numeri a rendere importante l’operazione dei carabinieri del Gruppo di Monreale e della compagnia di Corleone, ma il suo forte valore simbolico. All’inizio l’imprenditore aveva bussato alla porta dei mafiosi. “Non si può migliorare la situazione per me?”: come spesso avviene aveva chiesto uno sconto sul pizzo da pagare per la nuova attività che aveva deciso di aprire. Attività che alla fine ha dovuto chiudere stritolato dal racket.

L’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci e dai sostituti Sergio Demontis e Caterina Malagoli, è la prosecuzione di quella che nel settembre scorso azzerò i vertici della mafia di una fetta della provincia palermitana, da Palazzo Adriano a Corleone, da Misilmeri a Belmonte Mezzagno. Allora finirono in manette Antonino Di Marco, custode del campo sportivo comunale. Suo fratello Vincenzo era stato l’autista di Ninetta Bagarella, la moglie di Totò Riina. Assieme a lui furono arrestati Paolo Marasacchia, Nicola Parrino, Pasqualino e Franco D’Ugo.

Con le nuove indagini si è fatto luce su quattro estorsioni commesse ai danni di imprenditori e commercianti e ci si è concentrati sulla famiglia mafiosa di Villafrati. Due dati sono saltati all’occhio degli investigatori. Il pizzo viene imposto due volte: una parte dei soldi va alle famiglie mafiose dei paesi di origine delle vittime e l’altra serve a rimpinguare le casse del clan che controlla il territorio dove vengono eseguiti i lavori. Secondo elemento: vista la carenza di commesse pubbliche i boss si sono concentrati sui lavori privati.

“Quella che è emersa dalle indagini è la fotografia di una mafia che – spiega il colonnello Pierluigi Solazzo che guida il gruppo di Monreale dei carabinieri – nonostante le varie operazioni di polizia riesce sempre a riorganizzare le proprie fila, individuando nuovi affiliati. Ancora una volta è stato accertato come uno dei principali canali di sostentamento delle consorterie mafiose è rappresentato dal provento delle estorsioni”.

Adesso ci si attende che altri imprenditori seguano l’esempio coraggioso di chi si è ribellato al racket, visto che alcuni di loro, piuttosto che denunciare, finora hanno preferito addirittura chiudere bottega, vessati dalla mafia e dalla crisi.
Livesicilia

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