MAFIA. DOPO 14 ANNI DI ISOLAMENTO TOTÒ RIINA A COLLOQUIO CON IL FIGLIO GIOVANNI

Dopo 14 anni di isolamento al 41 bis il capomafia corleonese Totò Riina ha potuto incontrare in carcere il figlio Giovanni, anche lui detenuto per una condanna all’ergastolo per omicidio. La conversazione tra il boss e il suo primogenito, intercettata dagli investigatori, e pubblicata in stralci dal settimanale L’Espresso, è una summa di “sapere” mafioso. Ho detto al magistrato –si legge nell’esclusiva a firma del giornalista Lirio Abbate- che se nella vita vuole fare il procuratore, faccia il procuratore e faccia il suo dovere di fare il procuratore, e lo faccia bene. Io se sono Riina e lo faccio bene, stia tranquillo. Ognuno deve fare il suo mestiere, il suo lavoro, e lo deve fare bene. Chiuso”. E, sapendo di essere intercettato, -scrive ancora L’Espresso- ha trasformato quel colloquio in una summa della sua esperienza criminale, alternando consigli pratici (“Sposati una corleonese e mai una palermitana”) a messaggi sulle inchieste più scottanti (“Della morte di Borsellino non so nulla, l’ho saputo dalla tv”). Un proclama –secondo il settimanale- che ha alcuni obiettivi fondamentali: dimostrare che lui è ancora il capo di Cosa nostra, che il vertice corleonese è unito e, almeno nelle carceri, rispettato. Negare qualunque rapporto con i servizi e ribadire invece la forza dei suoi segreti. Per questo la registrazione è stata acquisita agli atti delle procure antimafia. Era dal 1996 che non si potevano guardare in faccia. Solo lo scorso luglio si sono ritrovati l’uno davanti all’altro, divisi dal vetro blindato della sala colloqui del carcere milanese di Opera. Le prime parole sono normali convenevoli. Poi la mettono sullo scherzo. Totò non comprende perché “Giovannello” non è abbronzato. E il figlio spiega: “Perché nell’ora d’aria preferisco fare la corsa”. Il boss insiste sulla salute: “Stai tranquillo che me la cavo. Tu sai che papà se la cava. Tu pensa sempre che papà è fenomenale. È un fenomeno. Tu lo sai che io non sono normale, non faccio parte delle persone uguali a tutti, io sono estero”. Ci tiene a trasmettere di essere ancora forte, -sottolinea L’Espresso- per niente piegato da 17 anni di isolamento: “Ti devo dire la verità, io sono autosufficiente ancora… Non devi stare in pensiero perché tu sai che papà se la sbriga troppo bene. Puoi dire ai tuoi compagni che hai un padre che è un gioiello”. Poi però –scrive ancora Lirio Abbate- entrano nelle questioni serie. Partendo da Bernardo Provenzano: è lui il traditore che ha trattato con lo Stato consegnando il capo dei capi ai carabinieri del Ros? “Ho fatto una difesa di Provenzano. Ai magistrati ho detto: quel Provenzano che voialtri dite che era d’accordo per farmi arrestare… Provenzano non ha fatto arrestare mai nessuno”. I rinnegati per lui sono altri, più volte attaccati durante il colloquio: Vito Ciancimino e suo figlio Massimo, che con le sue dichiarazioni sta animando l’ultima stagione di inchieste. “Loro si incontravano con i servizi segreti, padre e figlio. Provenzano no. I magistrati durante l’interrogatorio non ci credevano, e gli ho detto: “E purtroppo… Provenzano no!””.
Sull’uomo che assieme a lui è stato protagonista della più incredibile scalata mafiosa, che in mezzo secolo ha trasformato due contadini di Corleone nei padroni di Cosa nostra fino a sfidare lo Stato, su quel Provenzano che è stato il reggente del vertice della cupola fino al giorno dell’arresto si dilunga. Alternando segnali positivi a frecciate sibilline, riferite ai pizzini trovati tra ricotta e cicoria nel covo di Montagna dei Cavalli: “I magistrati mi hanno detto che sono troppo intelligente (facendo riferimento alla difesa di Provenzano, ndr) ed ho risposto che non è così. Non sapevo di avere un paesano scrittore. Il mio paesano (Provenzano, ndr) è scrittore, ma non si sedeva con gli sbirri per farmi arrestare. Il paesano queste cose non le fa”. E sempre su Provenzano: “Onestamente è quello che è, non voglio soprassedere. Però farlo passare per uno che arresta le persone, non è persona di queste cose. I mascalzoni sono gli altri che lo vogliono far entrare. Perché Giovà devi essere onesto con lui: per me ha un cervello fenomenale per l’amor di Dio, ha un cervello suo quando fa lo scrittore e scrive… quindi solo lo scrittore può fare queste cose. Lo sapevi che papà lo difende lo scrittore? Gli dissi l’altro giorno che non sapevo che avevo uno scrittore al mio paese, io so che c’è uno scrittore che si chiama Provenzano ma incapace di farmi arrestare i cristiani (i mafiosi, nd.)”. E torna ad accusare i due Ciancimino: “Qui infamoni sono padre e figlio e tutte queste persone perché devono far passare…”.

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